Hunger Games: la recensione di AK

Hunger Games: la recensione di AK

Ho cercato di evitarlo. Sul serio, ci ho provato.
Ho cercato di evitare il libro, prima. Giravo attorno alla pila di volumi con la scritta “Hunger Games” come se fossero qualcosa di malato ed infetto. Ed effettivamente, con tutte le persone che li hanno toccati… ma tralasciamo, il punto non è questo.
Entravo nelle librerie ed andavo dritta alla meta, ignorando ogni altro libro. Ma in qualche maniera, “Hunger Games” finiva sempre davanti ai miei occhi. O sotto le mie mani trepidanti; impazienti di impugnare nuove storie e leggere nuove pagine.
Ne sentivo parlare ovunque. Alla radio, su internet, sui siti di scrittura.
Penso sia superfluo, a questo punto, dire che io odiavo con una passione “Hunger Games”.
Non lo conoscevo, non ne conoscevo la trama, sapevo solo che aveva una copertina molto figa. E a essere sincera, io non volevo conoscerne la trama.
Non so perchè, ma tendo sempre ad evitare i casi editoriali. Più e più volte mi hanno delusa. L’opera della Collins, per me, non era altro che l’ennesimo fenomeno svuota tasche con la sovracopertina ed un prezzo esorbitante.
Un giorno, però, mentre stavo vagando per la libreria, tranquilla ed ignara del pericolo che mi attendeva dietro l’angolo, commisi un grave errore: quando mi trovai davanti la pila asimmetrica di volumi, ne presi uno dall’accozzaglia di nero, rosso e bianco che si stagliava contro il muro bianco della libreria. E, più per la rabbia e la frustrazione dei perseguitati, che per vero interesse, lessi la trama.
Poi la rilessi. Controllai che quello che avevo letto fosse giusto. Poi misi giù il libro, pensai che la storia sembrava una figata:
Dei ragazzi dai dodici ai diciotto anni che vengono costretti da un governo dispotico ad uccidersi in un gioco. Poi mi chiesi da che punto in poi si può parlare di plagio, perchè quella trama era la copia a tinte un po’ più soft e un po’ meno dark di Battle Royale. Solo che qua, in questo mondo così crudele, questo crimine contro l’umanità viene definito “gioco” fin dall’inizio. Non simulazione militare, come in B.R.. Gioco; nasce come tale, ed è volto ad intrattenere con la morte. Ed i partecipanti, seppur scelti a caso, sanno perfettamente a cosa andranno incontro. Tornai a casa e, sulla tastiera del mio caro, carissimo computer, digitai “Battle Royale Hunger Games”. Lunga storia fatta breve, venne fuori che a quanto pare, nonostante la Collins abbia lavorato nel mondo della televisione e dell’editoria, e nonostante B.R. sia stato uno dei maggiori fenomeni, e a livello cinematografico, e a livello editoriale, su scala mondiale, lei non lo conosceva. Decisi di leggerlo. Il libro mi piacque tantissimo. Decisi che non avrei guardato il film. Ho cercato di evitarlo, il film. Ma il giorno stesso in cui finii il libro mi arrivò una mail da “La Feltrinelli”. “ La Feltrinelli ti regala due biglietti per l’anteprima del 26 aprile di Hunger Games!” diceva l’email. E dato che era gratis, e dato che erano due biglietti e alla peggio, essendo in due, avremmo potuto prendere in giro il film-sono una persona orribile, lo so-, e dato che a questo punto cominciavo a sentirmi veramente pedinata, decisi di andare. Inoltre, dettaglio non poco rilevante, volevo vedere come avevano fatto a tradurre in pura immagine vari passaggi del libro. Allo stesso tempo, però, mi dissi: “Ora, quando tu entrerai in quella sala, tu vedrai un film intitolato Hunger Games. Non è tratto dal libro, ha solo il medesimo titolo.” Penso che fare questa cosa sia necessaria quando uno vuole godersi il film senza entrare nel paragone col libro. Quando si va senza aspettative, non ci sono aspettative da deludere.
Che dire?
La prima cosa che ti colpisce, quando arrivi nella sala, è il poster. Grande, più alto di una persona, stampato su del cartone e messo là, a guardarti. Katniss ti punta, ti tiene d’occhio. Ti scruta. E la ghiandaia imitatrice infiammata è pronta a ruotare su se stessa.
“Il mondo starà a guardare.” C’è scritto. Ed è proprio così. Non penso ci sia frase che possa rendere meglio la condizione dei tributi nell’arena, perchè è questo che il mondo fa nel libro. Ti punta, come Katniss punta te dal manifesto, e sta a guardare. Sta solo a guardare, senza intervenire. Aspettandoti, osservandoti, scrutandoti. Ed allo stesso tempo, nella vita reale, il mondo starà a guardare quel film che infuria e fa scalpore nelle sale cinematografiche di tutto il mondo.
E’ tutto un gioco di sguardi; Katniss guarda te, il mondo guarda Katniss, tu guardi il mondo che guarda Katniss.
The World will be Watching.
A me il film, sinceramente, nel complesso, è piaciuto. Mi è piaciuta la scelta degli attori e mi sono piaciuti gli artifici cinematografici con i quali sono stati introdotti molti temi. Ho apprezzato molti passaggi, altri, invece, mi hanno lasciato l’amaro in bocca.
Partiamo dalle prime scene; partiamo dall’arrivo dell’Hovercraft-la navicella gigante all’inizio-. Magari serviva per rendere la tensione e la paura, ma secondo me è stato un elemento inserito a sproposito. Non è chiaro cosa sia, non è chiaro il suo scopo. In sostanza è solo una navicella che vola allegra nel cielo. Il suo scopo? Nessuno.
Hanno dato troppo poco spazio a Gale, a mio parere, eppure la situazione di povertà e di miseria del Distretto 12 è stata resa in modo esemplare e l’inizio con un’introduzione chiara ed a parole è il modo più diretto per inserire in un mondo troppo complesso il tutto. Mentre ritengo che sia stata data grande rilevanza alla preparazione per i giochi, i giochi in sè sono passati come qualcosa di quasi surreale e poco concreto. Penso che questa cosa sia stata data soprattutto dalla decisione di mostrare poco sangue; troppo poco probabilmente, in un film dove l’assassinio è il mezzo per la sopravvivenza. Maggiore sangue avrebbe dato un maggiore realismo e maggiore concretezza alla scena. La morte di Rue, ad esempio, con la lancia a mala pena penetrata nel ventre, è risultata poco credibile. E’ anche vero che è facile scrivere “Una lancia la trafisse”, poichè automaticamente in un lettore scatta un meccanismo che fa associare l’azione con una serie di effetti. Da qualche parte, non mi ricordo dove, ho letto che questa scelta è stata fatta per essere fedeli alla scarsa presenza di sangue nel libro. Non so quanto fosse attendibile la fonte, penso poco, ma anche nel caso in cui sia così, quanto si parla di letteratura l’immaginazione gioca una componente fondamentale. Quando si parla di filmografia, ovvero di una serie dinamica di immagini che mostrano una scena che deve essere riconducibile alla realtà, non si può tralasciare alcuni dettagli. Se si decide di mostrare, bisogna far vedere. Altrimenti ci sono mille modi diversi per lanciare il messaggio pur omettendo la presa diretta della scena. Io non sono una grande fan dello splatter, soprattutto nei film, ma penso che in certi casi una resa realistica serva per dare spessore al film stesso.
Personalmente, però, ritengo che sia stata una scelta sbagliata quella di far perdere concretezza al film.
E dicano quello che vogliono; lo hanno fatto per il target, non per il libro.
Io non ho pregiudizi per quanto riguarda Peeta.
Sul serio.
Okay, ho un sacco di pregiudizi per quanto riguarda Peeta .Non mi piace come personaggio. E’ piatto: il bravo ragazzo innamorato da sempre dell’eroina.
Beh, se non altro questo aspetto è stato reso benissimo. Peeta è stato messo in ombra alla grande da Katniss, e non venga presa come un’offesa, ma come una lode agli scenografi. Katniss è l’eroina ed ha un carattere molto più forte di Peeta, il film ha reso bene questa cosa. Penso, però, che oltre agli scenografi siano da lodare anche gli attori: bravi, e pensare che Jennifer Lawrence non ha neanche mai frequentato una scuola di recitazione.
Il film è distopico dall’inizio alla fine. Non vi sono sogni da infrangere, sono già tutti andati in frantumi, ed il mondo non è perfetto. Katniss stessa non è perfetta; ha un caratteraccio. La prima reazione che ha di fronte alla madre quando sta per partire è quella di rimproverarla ed avvertirla. Non riesce a salvare Rue. E’ colei che, inconsapevolmente, fa scattare la ribellione. Non è l’eroina che guida il popolo alla vittoria. E’ l’eroina egoista che lotta per la propria sopravvivenza. E’ l’eroina che seppur ci sia Peeta sotto l’albero, e seppure sappia che lui sarebbe potuto morire per le punture, fa cadere l’alveare, incurante del pericolo che Peeta corre, dato che lui la ha tradita. E’ l’eroina che tiene più alla pelle che ai sentimenti. E’ un’eroina che ha ben poco a che fare col mondo romano al quale la Collins si ispira.
Il mondo romano, già. Direi più l’antichità in generale; e romana, e greca.
Il mito a cui l’autrice dice di rifarsi narra che Minosse fece rinchiudere il Minotauro- un mostro nato dall’unione di un’animale e di un essere umano- nel Labirinto di Cnosso e che, quando Androgeo figlio di Minosse, morì ucciso da ateniesi infuriati perché aveva vinto troppo ai loro giochi disonorandoli, Minosse decise di vendicarsi ed impose alla città di Atene, sottomessa allora a Creta, di inviare periodicamente sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto al Minotauro. Proprio come in Hunger Games, a memento della sconfitta dei Distretti che si ribellarono, vengono mandati i tributi a morire nei “giochi della fame”.
Ma il mito greco sopracitato non è l’unico aggancio a quel mondo lontano;
geniale l’idea della coppa piena di bacche che giunge a Seneca Crane, un “gentile invito” a farlo suicidare, esattamente come un “gentile invito” a suicidarsi era stato mandato a Seneca Anneo da Nerone, che riteneva che il filosofo avesse preso parte alla Congiura dei Pisoni. Anche i nomi Caesar e Cinna sono chiari riferimenti al mondo romano, abbiamo inoltre Lux-luce-, Cato-Catone-, e la Cornucopia. Il paese si chiama Panem; pane in latino.
La Collins sostiene di aver preso la parola dal motto latino “Panem et circenses” – pane e giochi circensi –, motto latino del benessere popolare e politico. Ironico, in un mondo dove le persone muoiono per strada e dove ragazzi ancora imberbi e ragazze sedicenni devono cacciare per sopravvivere. Dove madri cadono in depressione e la polvere di carbone aleggia nell’aria, entrando nei polmoni, e soffocando la vita.

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