House of Gucci: la recensione di Mauro Lanari

House of Gucci: la recensione di Mauro Lanari

“House Of Gucci è la telenovela della dinastia Gucci oppure la dinastia Gucci è la telenovela di House Of Gucci?” (Pedro Armocida). Falso dilemma, poiché in entramb’i casi il film non ha molto d’affascinante. Ci starebbe anch’un sottotesto “indican[te] una definizione precisa della poetica di Scott sin dagli esordi: ‘non sono copie, sono repliche’, […] la tensione sotterranea nelle opere del cineasta è sempre quella che si agita tra originale e falso (d’autore?)” (Sergio Sozzo), e pur’in questo caso ciò non giustifica la piattezza emotiva che si percepisce. Forse proprio perché la serialità è una recidiv’artistica che stanca fin’ad annoiare? Oppure perché dell’italianità vera, quella della Milano da bere e delle Wanna Marchi, del mondo imprenditoriale della moda e del nostro esibire tutto quanto fa “ricchezza, stile, potere” ne sappiamo già abbastanza e comunque a prescindere dallo sguard’esterno d’un 84enne britannic’o dall’ennesimo scimmiottamento corleonese fornitoci d’Al Pacino? Nell'”all star cast” “malignamente vale la pena di citare anche la presenza di Salma Hayek che nel film interpreta la parte della maga amica di Patrizia Reggiani (Pina Auriemma, finita in galera per favoreggiamento nell’omicidio Gucci) e che nella vita è la consorte di François-Henri Pinault, presidente e amministratore delegato del gruppo Kering. Cos’è il gruppo Kering? L’attuale proprietario del marchio Gucci” (Elisa Battistini).

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