Con un documentario vero, senz’inserti fittizi e dop’aver abbandonato il cinema di “recitazione”, Herzog trova in Gorbaciov un’altra figura degna del suo miglior cinema, e lo spiega lui stesso nel film: un personaggio da tragedia greca, consapevole d’aver caparbiamente desiderat’un sogno troppo grand’e oltre il limite, un uomo che sulla sua tomba vorrebbe venisse scritto un umile “Ci abbiamo provato”, sia sul fronte umano che politico. Eppure c’è una differenz’abissale tra i vari “Aguirre” o “Fitzcarraldo” e questo “Gorbaciov”: stavolta non si tratta della sconfitta d’un delirio d’onnipotenza, d’un idealista utopico che si schianta contro la Natura e le sue indomabili leggi, bensì d’uno statista che stava dimostrando come fosse praticabile la via leninista vers’un comunismo “umano”, tanto che le forze conservatrici lo liquidarono con un putsch. Il “repubblichino” Ezio Mauro fa lo gnorri negando l’evidenza storica e macroeconomica: la caduta del Muro nell’89 fu solo una conseguenza delle molteplici riforme attuate durante la sua segreteria dal 1985 al 1991. Cresciuto in un kolchoz, aveva imparato a incrementare il potere d’acquisto non aumentando redditi, salari e stipendi (vedi Landini e l’odierna falsa sinistra), ma calmierando i prezzi e quind’il costo della vita. Le variabili per modificare il divario tra ricchi e poveri sono 2, e una sinistra che sia veramente tale agisce sulla seconda, non sulla prima.
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