Ambientato su un’isola al largo della costa occidentale dell’Irlanda, Gli spiriti dell’isola segue due amici di lunga data, Padraic (Colin Farrell) e Colm (Brendan Gleeson), che si trovano in una situazione di stallo quando Colm decide bruscamente di porre fine alla loro amicizia. Padraic, confuso e devastato, tenta di riaccendere il loro rapporto con il supporto di sua sorella Siobhan (Kerry Condon), che insieme a Dominic (Barry Keoghan), il figlio del poliziotto locale, ha le sue preoccupazioni all’interno della piccola comunità dell’isola. Ma quando Colm lancia un ultimatum scioccante per concretizzare le proprie intenzioni, gli eventi iniziano a degenerare.
Il nuovo film di Martin McDonagh, di ritorno dietro la macchina da presa a cinque anni di distanza dalla consacrazione di Tre manifesti a Ebbing, Missouri, condensa in un luogo chiuso e isolato dal resto del mondo tutta la sua straordinaria capacità di scrittura e prosa cinematografica. L’autore irlandese è qui particolarmente abile nel lavorare su personaggi cupi e ironici, sull’idea di mondo e destino che li accompagna e prende per mano tra una pinta di birra scura, una chiacchiera qualunque in una locanda e un rifiuto pronto a trasformarsi nel campo di battaglia ideale tra due visioni opposte della comunicabilità, della vita, del legame di sangue tra gli uomini.
Ne Gli spiriti dell’isola i due protagonisti vivono in una terra irlandese particolarmente grezza e inospitale, composta quasi esclusivamente da una miriade infinita di appezzamenti rettangolari tutti uguali, incastonati dentro rettangoli di rocce dai quali l’orizzonte grigio e turbinoso del mare in tempesta appare sempre troppo lontano. Dalle coste si odono invece gli spari in lontananza della guerra civile, combattuta tra sostenitori e oppositori del trattato anglo-irlandese alla base della nascita, due anni prima, dello Stato Libero d’Irlanda.
Un conflitto lontano solo in apparenza, perché Padraic e Colm quella guerra ce l’hanno incastonata nella mente e nel cuore e sepolta nelle viscere, come a scavare un solco netto tra sé e ciò che li circonda. Se il personaggio di Colin Farrell (eccezionale per tempi, toni e controllatissima fragilità della sua recitazione) ci metterà un po’ a svelare a se stesso il cuore nero dei suoi istinti, il secondo, quello di Gleeson, è un musicista scontroso e burbero affetto da una depressione che rende la sua misantropia a tinte particolarmente fosche. Sono tuttavia le loro interazioni rozze e smozzicate, marchiate a fuoco da un’ironia umanissima anche quando la contrapposizione si fa particolarmente ruvida, a fare il film, a spingere Gli spiriti dell’isola verso la statura del miglior teatro dell’assurdo alla Beckett, non a caso irlandese come McDonagh, che qui dirotta la sua sceneggiatura verso un grado massimo di teatralità e raccoglie il massimo della resa con apparentemente il minimo sforzo di location e dispendio di mezzi.
È però soprattutto una fiaba, Gli spiriti dell’isola, e così sembra essere stata pensata e girata, con gli animali particolarmente umanizzati per servire siparietti esilaranti, quasi a convocare sulla scena e a instillare nei personaggi un sollievo umanista dal loro disincanto senza ritorno, sul quale sembra pesare la spada di Damocle di una disperazione ineluttabile (lo “spirito dell’isola” del titolo italiano è incarnato da una vecchia Banshee, figura del folklore irlandese e creatura leggendaria che si mostra solo agli esseri umani che sono prossimi alla morte). Le reazioni alle cose di Padric e Colm – ingenuo e sempliciotto il primo, feroce e impassibile il secondo – sono sempre ridicolmente amplificate e beffardamente esasperate, tanto nei divertentissimi dialoghi con gli altri abitanti del villaggio quanto nei rendez-vous a due che li investono, nei quali il conflitto tra il balordo e lo struggente è sempre, dolcemente labilissimo (ed è uno dei motivi di maggior fascino e attrazione di tutto il film).
Nelle loro parole, tuttavia, si scorge sempre il balsamo consolatorio e a tratti perfino sovrumano che il potere dell’oralità e delle storie, anche le più microscopicamente assurde e grottesche, porta sempre, inevitabilmente con sé. Alcune cose dopotutto non si possono superare, come recita una delle battute più emblematiche del film, e in fondo – almeno finché ci sarà un racconto a riscattarne il senso e l’intrinseco valore morale – va benissimo anche così.
Foto: Searchlight Pictures
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