Uno degli apici della carriera di Burton.
Con “Frankenweenie” Burton ci porta nei luoghi e nelle atmosfere della sua infanzia e della sua giovinezza, tra richiami e citazioni, tra amici e amori di un’età passata, a cui volge lo sguardo con una sua gotica forma di nostalgia. Il risultato che ne deriva è un film sottile, da amare e da capire, piuttosto che da guardare e basta, non tanto per famiglie e bambini, quanto più per amanti della settima arte. La poesia di “Frankenweenie” sta nelle molteplici citazioni, oltre che in alcune accurate scelte di regia. E’ infatti il primo film dell’autore nel quale si possono riconoscere citazioni da tutte le sue passate opere (le più citate sono “Il Mistero di Sleepy Hollow”, “Edward Mani Di Forbice” e “Dark Shadows”), a volte più chiare – come la battaglia nel mulino, chiaro riferimento a “Il Mistero di Sleepy Hollow”, il pesce di Edgar (“Big Fish”), o il sindaco che pota la siepe con delle forbici enormi (“Edward Mani Di Forbice”) -, altre più nascoste – come la struttura delle scale e la soffitta di casa Frankenstein (“Sweeney Todd”), la farfalla di Stranella (ovvero la Bambina che fissava de “Morte Malinconica del Bambino Ostrica”) da “La Sposa Cadavere” -.
Inoltre nel film si notano espliciti riferimenti alla vita di Burton, che si rappresenta in Victor Frankenstein, bambino triste e malinconico che vive “in un mondo tutto suo”, gotico e sinistro, con una passione per il cinema e l’animazione a passo uno.
Con una poesia tanto dolce quanto drammatica sul ritorno in vita del cagnolino di Victor, Sparky, Tim Burton ritorna in grande stile sul grande schermo. Ancora una volta.