“Dammi ora e luogo e ti do cinque minuti. Qualunque cosa accada un minuto prima e un minuto dopo quei cinque minuti te la cavi da solo”. Drive inizia così, prima ancora dei titoli di testa, prima ancora che la storia cominci a delinearsi. Un eccellente autista che riesce sempre a distaccarsi dal suo lavoro, e che ha sempre un piano perfetto, può lasciarsi coinvolgere almeno per una volta? L’interrogativo è implicito già dalla prima sequenza d’azione.
Segue una lenta carrellata notturna sulle strade di Los Angeles, un primo piano del protagonista, ripreso dal basso, e i meravigliosi titoli di testa in perfetto stile anni ’80, con tanto di rosa shocking. Il contrasto è già palesemente impressionante. Questo è lo stile di Nicolas Winding Refn, uno stile che colpisce come un pugno allo stomaco, energico e inaspettato, adorabile, ma allo stesso tempo nichilista.
Un autista senza nome (Ryan Gosling) sbarca il lunario facendo lo stuntman, il meccanico nell’officina dell’amico Shannon (Bryan Cranston) e guidando di notte per portar via i malviventi dopo le rapine. Poi incontra la bella Irene (la dolce Carey Mulligan, per molti la nuova Audrey Hepburn), sua vicina di appartamento, che, insieme a suo figlio Benicio, diventa il suo unico legame con il mondo da cui resta, comunque, distaccato. Non si sa mai niente del protagonista, nemmeno il suo nome o il suo passato. Successivamente, si scopre che il marito di Irene, Standard, era in carcere e il suo ritorno sembra eliminare ogni possibilità di rapporti tra i due vicini di casa. Tuttavia Standard è coinvolto in un losco giro di affari e l’autista, per aiutarlo, si troverà invischiato in una lotta tra famiglie mafiose. Dovrà uscirne evitando di coinvolgere la donna di cui, segretamente, è innamorato.
Con un budget ridotto e poche scene d’azione alla Fast & Furious, Winding Refn raggiunge il traguardo della Palma d’oro a Cannes per la Miglior Regia e, nonostante tutte le critiche negative, che sostengono che nel suo film non ci siano elementi realmente originali, l’abile regista danese (autore dell’interessante Pusher), degno erede di Lars Von Trier, riesce, invece, a presentare la storia di un uomo dedito al suo lavoro in maniera maniacale, alienato dal mondo e che ha rimosso ogni tipo di legame nella sua vita. Non ha amici, non si lascia mai compromettere nei lavori che porta a termine e parla raramente con gli altri. Freddo e impassibile pilota, conduce un’esistenza ai margini di una società da cui si sente tagliato fuori e che ha deciso di sfruttare senza farsi trascinare nelle sue trappole. Il suo passato, probabilmente, l’ha reso così, e, attraverso Irene, cerca una sorta di redenzione, provando ad aiutare lei e la sua famiglia. Il suo stesso amico Shannon gli dirà: “Conosco tanti uomini che se la fanno con donne sposate, ma tu sei il primo che rapina un negozio per dare una mano al marito”.
Pochi dialoghi, lunghi silenzi con deliziosi sottofondi musicali pop ed elettronici, creati ad arte da Cliff Martinez (il compositore di Solaris) e scene in cui i protagonisti sono perennemente avvolti in una calda luce dorata sostengono l’intima analisi di un uomo che tenta di lasciarsi guidare dalle sue motivazioni, senza farsi piegare dalla brutalità del contesto sociale che tenta di schiacciarlo. Drive è un termine che presenta la stessa ambiguità del personaggio interpretato dall’incantevole Ryan Gosling (introverso cavaliere solitario, paragonabile ad Alan Ladd e Gary Cooper), un termine che può significare tanto guida, quanto motivazione (impulso) e, perfino conficcare. Proprio quest’ultima accezione ci porta a collegare il personaggio di Gosling al suo “costume” e allo scorpione disegnato sul giubbotto (dorato, guarda caso), inquadrato spesso nelle meravigliose semi-soggettive. Lo scorpione è sia un segno zodiacale ambiguo e di difficile interpretazione e sia un simbolo araldico che rappresenta un “uomo che non perdona”, come il silente giustiziere di Drive. La sua natura (espressa nella storia dello scorpione e della rana) è proprio quella di uccidere le prede in maniera spietata e letale, senza lasciare scampo. E’ un animale che vive nel deserto, capace di diventare luminescente se esposto ad alte frequenze di luce ultravioletta (un aspetto, forse, enfatizzato anche dalla bella fotografia del film), ma soprattutto è un predatore notturno, come numerosi personaggi celebri della cinematografia, dal Travis Bickle di Taxi Driver al killer di Collateral. E’ pur vero che in Drive l’eroe non è un reduce della guerra in Vietnam, ma rispecchia ugualmente l’attuale difficoltà di relazionarsi con una società violenta, ambigua e difficile da comprendere. Il giustiziere ombra senza nome né passato è un individuo che tenta di redimersi scegliendo di lasciarsi guidare solo dalla sua natura e dalle sue abilità, isolandosi dal resto del mondo: un alienato, un guerriero notturno che si fida solo di se stesso.
Una nota di merito va, inoltre, alla deliziosa e bravissima Carey Mulligan che presto vedremo nel remake de Il Grande Gatsby, non a caso un’altra pellicola che analizza la natura umana e le sue forme attraverso la figura di un protagonista alla disperata ricerca della sua dimensione, che si lascerà coinvolgere, suo malgrado, dalla donna di cui è innamorato. Questo a dimostrazione di quanto possano essere significative le coincidenze nel mondo del cinema.
Il nostro Driver, come molti eroi della letteratura e della cinematografia, si lascia guidare dalla sua vocazione e da quello che sa fare meglio, dimostra di non lasciarsi piegare e di essere capace di seguire sempre e comunque la sua strada, di notte, nell’abitacolo della sua auto perfettamente modificata. Per ora gli basta questo: il suo incessante viaggiare, le luci notturne della città e i suoi fari che gli illumineranno il cammino. Il resto può lasciarselo alle spalle, nulla riuscirà a fermarlo. Restiamo soltanto con un quesito irrisolto: dove sta andando? Non ci è dato saperlo: Refn ci lascia con questo dubbio mentre focalizza lo sguardo sul viso di Gosling riflesso nello specchietto, sulle luci del quadro, sul cruscotto di tanto in tanto illuminato da fari esterni che ci passano accanto e poi… una rapida dissolvenza. Per sempre on the road, per sempre alla ricerca del nostro viaggio ideale.
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