Django – La serie: il cowboy con la cassa da morto “rivive” nella serie Sky. La recensione dei primi episodi

Su Sky e Now è arrivata la serie di Francesca Comencini con Matthias Schoenaerts e Noomi Rapace, liberamente ispirata al memorabile personaggio di Franco Nero nel western di culto di Sergio Corbucci

Django – La serie: il cowboy con la cassa da morto “rivive” nella serie Sky. La recensione dei primi episodi

Su Sky e Now è arrivata la serie di Francesca Comencini con Matthias Schoenaerts e Noomi Rapace, liberamente ispirata al memorabile personaggio di Franco Nero nel western di culto di Sergio Corbucci

Django - La serie
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PANORAMICA
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Fotografia
Montaggio
Colonna sonora

Texas, fine 1800: Django è un cowboy senza ideali alla ricerca della figlia che credeva perduta, ed è seguendo le sue tracce che arriva a New Babylon, una città che si erge sul fondo di un cratere, dove tutti i reietti sono i benvenuti e dove tutti sono uguali e liberi. Qui Django scopre che sua figlia Sarah è viva, ha vent’anni, e sta per sposare John Ellis, il fondatore di New Babylon. Ma, Sarah, che ritiene il padre responsabile della morte della loro famiglia, trucidata molti anni prima mentre lui era in guerra, vuole che Django se ne vada.

Lui rifiuta tuttavia di arrendersi e fa di tutto per avere una seconda chance con lei, diventando un alleato prezioso per Ellis mentre si trovano a difendere New Babylon contro la potente Signora di Elmdale, Elizabeth Thurman, impegnata in una personale missione il cui scopo è quello di liberarsi di questa comunità di ladri e peccatori. Tutti i personaggi principali sono infatti legati, a loro insaputa, da un intreccio di segreti e un passato oscuro destinato a riaffiorare.

Dello spaghetti western originale di Sergio Corbucci, rielaborato anche da Quentin Tarantino e Takashi Miike, uso della bara a parte, in Django – La serie, arrivata su Sky e NOW, non c’è di fatto nulla, così come della maschera immortale di Franco Nero, qui “rimpiazzato” da Matthias Schoenaerts: il serial è infatti un prodotto che usa furbescamente e scaltramente Django come brand culturale per intavolare una storia sulla carta più realistica, scavata e chiaroscurale, nella quale sono le donne (soprattutto la predicatrice Elizabeth di Noomi Rapace) a dettare l’agenda del racconto, dalla xenofobia all’assorbimento delle minoranze, in un’ambientazione utopica (gli Stati Uniti sono ricreati con riprese in Romania). 

Con la direzione artistica di Francesca Comencini, regista dei primi quattro episodi e reduce dall’esperienza con la serialità prestige di Gomorra, Django, almeno nelle prime puntate e in attesa di vedere come la narrazione proseguirà, non riesce purtroppo a sganciarsi dalla minestra riscaldata di temi pur caldissimi, ri-maneggiati con un approccio compassato e inerte, privo di empatia per personaggi a conti fatti monocordi e non pervenuti e di sostanza narrativa e psicologica. Si vorrebbe mettere in piedi, com’è evidente, qualcosa di più enigmatico e riflessivo, eppure la sensazione è che questa tendenza produca un’afasia di segni e simboli difficilmente aggirabile, e pare di vedere qualcosa che abbiamo già visto altre mille volte ma con molto meno nerbo del solito. 

Già tra la prima e la seconda puntata si registra peraltro una sostanziale squilibrio, visto che la costruzione iniziale del world building si perde in alcune sterili e controproducenti lungaggigini d’azione, nelle quali è difficile non avvertire un senso di scollamento rispetto alla realtà del western brutto, sporco e cattivo che si vorrebbe narrare, intagliato nel fango e nel laido, nella pioggia e nella polvere da sparo. La riscrittura anti-filologica del genere, che si vorrebbe minare per lavorare contropelo, non ha però particolari slanci dialettici, anzi: la riscrittura somiglia a un calco sterile e sonnolento di un immaginario, piuttosto che all’edificazione di uno nuovo. 

Foto: Sky Studios, Cattleya, Atlantique Productions, Canal+, Frame Film

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