Era l’ormai lontano 2008 quando il buon vecchio Clint annunciò al mondo il suo ritiro dalle scene come attore per meglio dedicarsi all’attività di regista. Ora, quattro anni dopo, il fu “uomo senza nome” si rimette in gioco per dare la possibilità a Robert Lorenz, suo fidato collaboratore, di dirigere il suo primo film.
Gus Lobel (Clint Eastwood) è uno dei migliori scout di sempre, ma l’avanzare dell’età lo sta portando ad una lenta e inesorabile perdita della vista. Ciò lo costringe a riallacciare i rapporti con la figlia Mickey (Amy Adams) che non lo ha mai perdonato per essere stato un padre assente dopo la morte della madre. I problemi di Gus aumentano quando uno scout rivale (Justin Timberlake) si innamora di Mickey.
Dopo aver affrontato temi pesanti come l’eutanasia (“Million Dollar Baby”) e il razzismo (“Gran Torino”), Eastwood affronta temi apparentemente più leggeri come l’invecchiamento e il rapporto padre-figlia. A prima vista questa potrebbe sembrare una macchia nella filmografia dell’attore/regista che, dopo essersi momentaneamente ritirato con un capolavoro come “Gran Torino”, ha deciso di tornare con un film apparentemente leggero e spensierato. In realtà, guardando con più attenzione, si può facilmente capire che questo film ha un elemento in comune con tutti gli altri, ben più pesanti, film dell’attore. Infatti, Gus Lobel è un uomo tormentato dal suo passato, un uomo che non si perdona qualcosa accaduta da ormai molti anni. Fu lo stesso Eastwood a dire, qualche anno fa, che “siamo tutti il prodotto di ciò che abbiamo visto nella vita”.
Clint Eastwood ha dimostrato di non aver perso la stoffa dell’attore riuscendo a far ridere e commuovere il pubblico. La sua non è la migliore performance della carriera, Gus Lobel non regge minimamente il confronto con Walt Kowalski o Frankie Dunn, ma ha tutte le carte in regola per essere ricordato come uno dei suoi migliori personaggi.
Amy Adams è un’attrice carismatica e la sua alchimia con Eastwood e Timberlake non fanno rimpiangere minimamente la Bullock, ben più quotata per essere scritturata per la parte alla vigilia delle riprese. Justin Timberlake si limita a recitare la sua parte, senza meriti né demeriti, ma la sua interpretazione migliore rimane quella offerta in “The Social Network”. Nel cast figurano anche John Goodman e Matthew Lillard, visti recentemente rispettivamente in “Argo” e “Paradiso Amaro”. Da segnalare la partecipazione di Scott Eastwood, il quarto figlio di Clint.
Il regista Robert Lorenz ha realizzato un film vecchio stile, o per meglio dire “un nuovo classico”, proprio come insegnatogli dal suo mentore. A differenza di quest’ultimo, che è solito girare scene con la telecamera statica, Lorenz preferisce attuare più movimenti di cinepresa realizzando anche qualche inquadratura suggestiva.
In conclusione, questa non è di certo la pellicola per la quale l’attore verrà ricordato negli anni a venire e probabilmente è giusto così. Questo film è dedicato a tutti i fan di Eastwood, tutti coloro che vogliono guardare un’altra volta il suo continuo broncio sul grande schermo. Lo stesso Eastwood disse di non essere un intellettuale, ma un narratore di storie. E questa è una bella storia.