C’è ancora domani: Paola Cortellesi esordisce alla regia con un neorealismo rock e femminista. La recensione

Film d'apertura della diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma, l'opera prima della popolare attrice uscirà nei cinema il prossimo 26 ottobre

C’è ancora domani: Paola Cortellesi esordisce alla regia con un neorealismo rock e femminista. La recensione

Film d'apertura della diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma, l'opera prima della popolare attrice uscirà nei cinema il prossimo 26 ottobre

C'è ancora domani di Paola Cortellesi recensione
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PANORAMICA
Regia
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Delia (Paola Cortellesi) è la moglie di Ivano, la madre di tre figli. Moglie, madre. Questi sono i ruoli che la definiscono e questo le basta. Siamo nella seconda metà degli anni ’40 e questa famiglia qualunque vive in una Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione, dopo la Seconda Guerra Mondiale, e le miserie della guerra da poco alle spalle. Una città che cerca di rialzarsi come può e i cui strati sociali più popolari fanno ancora i conti con piccole e grandi privazioni. 

Ivano (Valerio Mastandrea) è capo supremo e padrone della famiglia, lavora duro per portare i pochi soldi a casa e non perde occasione di sottolinearlo; a volte con toni sprezzanti, altre, direttamente con la cinghia (“Ho fatto due guerre” è la sua frase chiave, usata più come un alibi non richiesto che come un’elaborazione post-traumatica, per inquadrarne il profilo violento e predatorio). Ha rispetto solo per quella canaglia di suo padre, il Sor Ottorino (Giorgio Colangeli), un vecchio livoroso e dispotico di cui Delia è a tutti gli effetti la badante e che sembra uscito dalla penna dell’Ettore Scola più crudele e nichilista. L’unico sollievo di Delia è l’amica Marisa (Emanuela Fanelli), con cui condivide momenti di leggerezza e qualche intima confidenza.

C’è ancora domani, interamente girato in bianco e nero, è l’esordio alla regia di Paola Cortellesi, scelto come film d’apertura per la Festa del Cinema di Roma 2023. Una parabola sulla condizione femminile del XX secolo, che mette al centro della storia una donna come tante: volitiva e pragmatica ma al contempo schiacciata da un maschile che aderisce, in modi e forme leggermente diverse a seconda dei diversi personaggi che coprono tre generazioni di uomini, a un modello patriarcale particolarmente granitico (in una scena Delia chiede al suo datore di lavoro perché un ragazzo appena assunto per riparare ombrelli guadagni più di lei e si sente rispondere: “Quello è omo, no?”)

Cortellesi aveva già dimostrato di essere particolarmente sensibile e acuta sul tema con il monologo ai David di Donatello 2020 che rifletteva sul diverso significato che alcune parole assumono se declinate al maschile o al femminile. In C’è ancora domani gioca col registro a lei più caro, quello della commedia, calandolo in un’ambientazione d’epoca fatta di soldati americani che regalano cioccolata, tentativi di ascensore sociale (quello della primogenita di Delia, Marcella, che vuole sposare il bravo ragazzo borghese per rompere con la sua famiglia) e donnine affaccendate col bucato o con le file agli alimentari per la spesa: tutte quante, sempre e comunque, molto più integre e integerrime degli uomini, galvanizzate oltretutto dalla prospettiva imminente di poter finalmente votare, nel 1946 (Ora che votiamo noi cambierà la musica, si dicono tra loro mentre stendono i panni in una di quelle terrazze care alla storia del cinema tricolore). 

C’è ancora domani, scritto da Cortellesi con Furio Andreotti e Giulia Calenda, già compagni di sceneggiatura del suo compagno artistico e di vita Riccardo Milani, tiene un piede nel neorealismo, nei film con Anna Magnani e Sophia Loren, ma cerca anche delle risate, che tengano conto dei tempi comici straordinari dell’attrice e regista, e un’idea di anacronismo alla Maria Antoinette di Sofia Coppola (film evocato direttamente anche dal font scelto per la locandina, peraltro), con un largo uso di sonorità rock e contemporanee.

A condire il tutto anche un mistero epistolare, che amplifica l’atmosfera vintage della vicenda, e uno sguardo che non teme di ricorrere a qualche fiammata surreale, danzante e grottesca, facendo ballare Valerio Mastandrea e appoggiandosi alle note de La sera dei miracoli di Dalla e di Concato. Tali azzardi, per quanto possano sembrare a tratti avventati, non vanificano mai la portata dolcemente militante del film e le sue ampie dosi di malinconia, ben tratteggiate oltretutto dalla recitazione sottilissima e sfumata di Cortellesi: un’attrice di grande rigore e brillantezza che si dimostra, al suo primo banco di prova dietro la macchina da presa, anche una regista altrettanto metodica, eclettica e con più di una freccia al suo arco. 

Foto: Wildside, Vision Distribution 

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