La piccola Wen (Kristen Cui) e i suoi due papà, Eric e Andrew (Jonathan Groff e Ben Aldridge), decidono di trascorrere qualche giorno in una casa isolata in mezzo ai boschi, completamente circondati e immersi nella natura.
Mentre sta giocando nella foresta, però, Wen si imbatte in un uomo grosso e robusto di nome Leonard (Dave Bautista), che si pone in modo gentile e sembra interessato a parlare con lei. Poco dopo l’arrivo di Leonard, Wen nota che altre tre persone (Rupert Grint, Nikki Amuka-Bird e Abby Quinn) si stanno avvicinando, tutte con in mano diversi strumenti e oggetti: i quattro sconosciuti, quattro esattamente come i Cavalieri dell’Apocalisse, chiederanno alla famiglia di compiere una scelta impensabile per evitare la fine di tutto.
Bussano alla porta (Knock at the Cabin il titolo originale), il nuovo film di M. Night Shyamalan, è un incubo kinghiano, nel senso di Stephen King, che punta però all’eloquenza dello Steven Spielberg più massimalista e catastrofista in sede di blockbuster. Quello alla La guerra dei mondi, per intenderci. Per poi condire il tutto con una spruzzata da brivido di senso di nolaniana e soprattutto – ancor prima, per fortuna – hitchcockiana memoria, di aut aut per tracciare il segno finale della storia che è diventato, sotto forma di marchio, il cosiddetto Shyamalan twist.
Il lento incedere del racconto ricorda le affabulazioni via via più luttuose degli antichi teatranti in contesto da palcoscenico, ma anche l’osservazione in vitro del mondo naturale concorre a creare, perfino nell’infanzia, un controcampo di angoscia raggelante, desolato e difficilmente colmabile (arrivano le cavallette!). A partire da questo baratro appena dietro l’angolo, il Giorno del Giudizio – quello vero, proprio lui – è destinato a materializzarsi col suo prezzo da pagare che non può che essere altissimo, come in un incrocio impossibile tra la tragedia biblica (il sacrificio di Isacco di Abramo, ovviamente il libro dell’Apocalisse) alla tragedia greca (soprattutto Ifigenia in Aulide di Euripide, esplicitamente citata ed evocata in sceneggiatura).
L’aspetto più strabiliante di Bussano alla porta è però come Shyamalan declina la sua home invasion in forma di slasher contaminato con l’Armageddon, tenendo al contempo altissima l’asticella del dialogo col presente, dalle teorie del complotto alle sette fino ai negazionisti del COVID-19 e al collasso frontale, verticale e senza ritorno della tecnologia, pressoché impietoso ultimo terreno di confronto e di giudizio dell’umanità (gli aerei che iniziano a cadere senza motivo, come schegge di cielo che si abbattano con furia nichilista e omicida sulla Terra). Per non parlare dell’ambiente, in cui tsunami e terremoti ormai furoreggiano all’ordine del giorno, con la ciclicità spietata di un castigo divino.
Una vertigine di (non) senso che aggira ogni immedesimazione possibile, quella del liberatorio e dinamitardo Bussano alla porta, traghettando tutto di gran carriera nel regno dei simboli, e delle ombre (dopotutto i presunti antagonisti si presentano come buoni, e il personaggio di Leonard fa sfoggio addirittura di una bonaria pacatezza dai contorni esplicitamente filosofici nei riguardi della realtà) . E venne il giorno, potremo ben dirlo, chissà dove, chissà quando, chissà in quale lontana, sterminata, pericolosa galassia.
N.B. Bussano alla porta è tratto dal romanzo datato 2018 La casa alla fine del mondo di Paul G. Tremblay, ma Shyamalan ha operato significative modifiche al finale, traghettando tutto verso una dimensione decisamente più concreta e tangibile. M. Night Shyamalan presenta: Ai confini della realtà, Steven di The Fabelmans permettendo, potremmo perfino azzardare, pensando anche al lavoro straordinario e analogo a quello di prodotti come Bussano alla porta che Shyamalan sta portando avanti in tv con la sua Servant.
Foto: Blinding Edge Pictures, Wishbone Entertainment Inc.
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