Birdman – O l’imprevedibile virtù dell’ignoranza: la recensione di Donato Prencipe

Birdman – O l’imprevedibile virtù dell’ignoranza: la recensione di Donato Prencipe

Sono passati più di vent’anni da quando Michael Keaton indossò il costume dell’”uomo pipistrello” ricevendo così da Tim Burton l’onore e l’onere di impersonare la doppia vita di un supereroe, amato dal pubblico di tutto il mondo. Oggi ritorna sul grande schermo, alla corte di Alejandro Gonzalez Inarritu, per impersonare Riggan Thomson, un attore alle prese con una commedia teatrale da mettere in scena ed un passato al cinema da supereroe alato che gli fece guadagnare le luci della ribaltà. Se con i tanti film su i supereroi scoprivamo le gesta impavide di uomini mascherati, sempre al servizio dell’intera comunità presa d’assalto dal cattivo di turno, con “birdman” veniamo catapultati all’interno della sfera emozionale dell’attore che lo interpreta, o meglio che lo interpretò diversi anni prima. Il film, difatti, ruota attorno alla vita di Riggan Thomson, con tutti i suoi dubbi amletici, le insicurezze e l’impossibilità di scrollarsi di dosso la figura del supereroe che lo rese celebre al cinema ed acclamato dal pubblico. La sua frustrazione nel cercare di convincere la platea e gli addetti al lavoro della sua bravura come attore e regista di teatro anche fuori da quel costume, diventato più una seconda pelle indelebile, piuttosto che una maschera da spettacolo. La sua ossessione di compiacere gli altri del suo talento, indubbio a lui in primis, lo porta a vivere una partita doppia tra la sua coscienza e quella del suo personaggio, come uno schizofrenico soffre la triste perdita della realtà, in continua lotta tra se e le voci prodotte dal suo io più recondito, così Riggan viene sopraffatto dal suo stesso personaggio, alternando momenti di assoluto smarrimento a momenti di presa di coscienza della realtà. La storia si sviluppa tutta all’interno del teatro St. James di Broadway, tra il palcoscenico e il dietro le quinte di uno dei teatri più importanti al mondo. Si cerca di mettere in scena una commedia sentimentale scritta diversi anni addietro e riadattata dal nostro protagonista. Il cast è di prim’ordine per una location così suggestiva, da Edward Norton che impersonifica Mike Shiner, attore di spicco chiamato in causa dopo l’infortunio di un suo collega, dotato di una personalità ricca di sfaccettature, che si scontra con l’altrettanta bipolarità di Riggan. La figlia di quest’ultimo, Sam, è rappresentata da Emma Stone, uscita da una comunità di recupero per tossicodipendenti e girovaga nei meandri del teatro, provata da un rapporto difficile con il padre, accusato di non essere mai stato presente. Completano il cast Naomi Watts (The impossible), che interpreta Leslie, una delle attrici protagoniste della commedia assieme a Laura, interpretata dalla britannica Andrea Riseborough (Oblivion), per finire a Zach Galifianakis, che svolge un ruolo inconsueto rispetto ai suoi film precedenti, difatti da assoluto casinista, combina guai in “Una notte da leoni”, a manager arrivista e tuttofare di Riggan. Il regista messicano dopo aver fatto incetta di nomination agli oscar per i suoi film antecedenti da “21 grammi” a “Biutiful” riesce a conseguire per questo film, ben quattro statuette alla notte degli oscar: miglior film, miglior regia, miglior fotografia e miglior sceneggiatura originale. Non a caso il suo film gravita su diverse onde di emozioni, suscitate nello spettatore grazie alla passione, all’esuberanza e a tutte le paure che possono avvolgere chi interpreta il lavoro d’attore. Inarritu ci porta a conoscenza delle difficoltà che un attore può incontrare ogniqualvolta viene etichettato in simbiosi al suo personaggio riuscito a livello commerciale o quando si viene spazzati via dalla critica pungente e spesse volte cattiva nel giudicare l’opera stessa solo per il gusto di farlo. Vedersi, continuamente, appesi al filo sottilissimo dell’opinione sentenziosa che deciderà se quello spettacolo potrà ancora esistere o dovrà essere dimenticato in fretta, senza tener conto che dietro ad un’opera, sia essa teatrale o cinematografica, vi è sempre l’anima di chi la realizza e in quanto tale merita rispetto.

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