Il film che agli ultimi Oscar ha vinto i premi più ambiti come miglior film, miglior regia, miglior fotografia e miglior sceneggiatura originale merita decisamente i massimi riconoscimenti per il livello altissimo di eclettismo che il regista Alejandro Gonzáles Iñárritu ha saputo raggiungere con il suo Birdman.
Non gliene vogliano Richard Linklater e il suo splendido “Boyhood”, altro genuino esperimento cinematografico che ha avuto la sola sfortuna di uscire il suo stesso anno e mancare per un pelo le ambite statuette dorate: per entrambi non faccio fatica ad usare il termine “capolavoro” perché hanno qualcosa in più, l’ambizione e lo sforzo creativo per distaccarsi dal prodotto medio e aggiungere una nuova entrata nella storia del cinema, la differenza l’hanno fatta le preferenze dei giurati dell’ Academy.
Birdman, o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza, come recita lo spassosissimo sottotitolo che si capirà solo nel finale, è un’esperienza intellegibile sotto infiniti livelli di analisi, meta-filmici, meta-teatrali, meta-psicologici e molti altri “meta”; è difficile cogliere tutti i riferimenti alla realtà, al mondo dello spettacolo e ai meccanismi della mente umana che questo film riesce a sviluppare in due ore di spassoso spiazzamento dello spettatore.
La storia dell’ex divo Riggan Thomson, che ha conosciuto la fama vent’anni fa interpretando un supereroe in una saga hollywoodiana e che tenta di tornare alla ribalta allestendo una pièce teatrale a Broadway, non è diversa da quella dell’attore che lo incarna, il ritrovato Michael Keaton, che nel 1995 quasi scomparì dalla ribalta rifiutando il terzo “Batman” e che oggi può risalire sul palco delle cerimonie di premiazione proprio per la sua immedesimazione nel ruolo dell’interprete in cerca di riscatto.
Una strizzata d’occhio alla realtà tutt’altro che casuale, che aggiunge un gusto perverso alla vicenda, mentre ci si chiede quanto Keaton ci sia in Riggan e quanto a fondo si riesca a spingere il gioco dell’autore/regista messicano.
Perché nonostante le difficoltà per far funzionare sul palco l’adattamento di “ Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” di Raymond Carver, per tenere a bada i capricci del talentuoso ma insopportabile coprotagonista Edward Norton o per essere una figura paterna presente per la figlia incasinata Emma Stone, in realtà il protagonista fa sempre e solo una cosa: cercare l’approvazione degli altri.
Tutta la vicenda ruota abilmente all’interno della realtà-teatro così come nella testa di Riggan, ci si aggira nei meandri della mente e attraverso i corridoi dietro alle quinte nello stesso modo, attraverso un flusso di coscienza continuo che porta il protagonista a materializzare le sue paure ed aspirazioni, rendendole percepibili come la voce minacciosa che gli parla nel camerino.
Alejandro G. Iñárritu, che fino ad oggi aveva realizzato film drammatici di altissimo livello ma con uno stile quasi sempre amaro, come Amores Perros, 21 Grammi e Babel, con Birdman compie il salto di qualità dosando in maniera perfetta l’abilità tecnica e l’ironia narrativa in modo da non risultare mai pesante, infatti in questo film non c’è una singola scena o battuta di troppo, il pubblico viene divertito e stimolato in un crescendo d’intensità come sa bene sottolineare la particolarissima colonna sonora jazz di quasi sole percussioni del batterista Antonio Sanchez.
Insomma, se cercate un film sublime che trascenda i generi, che critica e fa satira in egual misura sull’industria cinematografica e sullo snobismo del teatro, in cui la vita imita l’arte che imita la vita e così all’infinito, Birdman è pronto a diventare uno dei vostri film preferiti non solo del 2015, ma in assoluto.