Dopo l’ultima nottata degli Oscar, la sigla A24 è certamente diventata a tutti più familiare, non solo in quanto autostrada che connette Roma a Teramo. La casa di produzione e distribuzione indipendente d’origine statunitense ha ormai un decennio di attività alle sue spalle, ma specialmente negli ultimi cinque anni si è impressa in maniera indelebile nell’immaginario collettivo.
Non mancano al listino dei prodotti audiovisivi sotto il suddetto marchio storie incentrate sugli asian american, asiatici naturalizzati americani, che ad Hollywood stanno riscuotendo un successo inaudito, a partire da The Farewell fino ad arrivare proprio ad Everything Everywhere All At Once, a cui si aggiunge Past Lives, che potrebbe rivelarsi il caso cinematografico di quest’anno. Beef (Lo Scontro), recita il titolo italiano, progetto in collaborazione con Netflix, si inserisce perfettamente in questo filone, seppur distaccandosene in parte.
La miniserie ad opera dello showrunner Lee Sung Jin vede come protagonisti Danny Chou (Steven Yeun), un imprenditore in crisi, e Amy Lau (Ali Wong), donna che invece è riuscita a farsi da sola. Se l’incontro tra questi personaggi avviene casualmente in un parcheggio, attraverso un diverbio che sfocia in un inseguimento e successivo incidente stradale, il reciproco desiderio di vendetta porterà le loro vite a intrecciarsi nuovamente e in maniera più drastica.
Con un incipit così incentrato su uno scontro a due, era essenziale per la riuscita del prodotto la scelta giusta degli interpreti. Steven Yeun e Ali Wong, proveniente da The Walking Dead il primo e dalla stand up comedy la seconda, sarebbero in grado di portare avanti lo spettacolo interamente da soli (per fortuna anche il cast di supporto si rivela azzeccato), con le loro rispettive sbraitate, sfuriate e sfoghi di rabbia a lungo immagazzinata.
Beef, infatti, preferisce focalizzarsi su una situazione più universale, piuttosto che trattare quella specifica dello scontro tra due culture diametralmente opposte. La collisione avviene, invece, tra due umanità simili, entrambe assoggettate da una società che impone il controllo (per non dire repressione) dei propri sentimenti più estremi, al quale consegue l’esplosione in atteggiamenti deleteri, per sé stessi quanto per il resto della cittadinanza.
Quando Beef ragiona su questo interessante compromesso della borghesia odierna nel campo del realistico, la miniserie convince appieno. Sul giungere della conclusione, tuttavia, lo showrunner rischia sempre più di compromettere la sospensione dell’incredulità instaurata dallo spettatore, mostrando una catena di eventi sempre più parossistica e una deriva esistenzialista che appare furba e superficiale.
Tale cambiamento riscontrabile negli ultimi episodi non è purtroppo sostenuto da una regia all’altezza, che non diventa suggestiva nei momenti più onirici e conserva la pavida patina, ormai marchio di fabbrica del tocco netflixiano quando a bordo manca un autore dalla cifra stilistica distinguibile. Un’occasione sprecata.
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