Avengers: Endgame, la recensione

La fine di un'epoca è arrivata: l'incredibile viaggio del MCU volge al termine e lascia dietro di sé sorprese elettrizzanti, colpi di scena e...malinconia.

Avengers: Endgame, la recensione

La fine di un'epoca è arrivata: l'incredibile viaggio del MCU volge al termine e lascia dietro di sé sorprese elettrizzanti, colpi di scena e...malinconia.

Avengers: Endgame
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PANORAMICA
Regia (3.5)
Interpretazioni (4)
Sceneggiatura (4)
Fotografia (3)
Montaggio (4.5)
Colonna sonora (4)

A Thanos, reso invincibile dal Guanto dell’Infinito, è bastato uno schiocco di dita per spazzare via metà della popolazione dell’intero cosmo. Agli Avengers sopravvissuti, con il supporto e l’aiuto dei pochi alleati rimasti, non resta che fare squadra un’ultima volta per vendicare gli amici scomparsi, far fuori il temibile e potentissimo titano pazzo e ristabilire una volta per tutte la pace nell’Universo. Tra gli scomparsi c’erano Black Panther, Spider-Man, Star Lord, Groot, Doctor Strange e persino Nick Fury, ma tanti altri erano rimasti in vita, in attesa di assaporare la più grande delle sfide: salvare l’umanità e metterla al riparo dall’Apocalisse annunciata.

C’eravamo lasciati con queste prospettive, alla fine di Avengers: Infinity War, tramortiti al cospetto di uno dei finali più potenti e disarmanti che il cinema ad alto budget abbia mai concepito, in termini d’impatto, risonanza e sincero sbigottimento. Ed è proprio da qui che si riparte con Avengers: Endgame, ultimo, attesissimo capitolo della terza fase del Marvel Cinematic Universe: una cavalcata maestosa e trionfale durata 11 anni e 22 film, che arriva alla sua resa dei conti con il consueto carico di attesa spasmodica e la promessa di superare gli oltre due miliardi di dollari d’incassi del precedente capitolo.

La sensazione, al termine di Avengers: Endgame, è leggermente diversa ma ugualmente potente: una malinconia ineluttabile (lo stesso aggettivo, non a caso, che Thanos ama attribuirsi), sentimento impossibile da arginare una volta giunti al termine di un’epopea cinematografica iniziata nel lontano 2008 con Iron Man. Cala il sipario con un’esplosione, annunciata ma non per questo meno d’impatto, di forze contrapposte, di oscurità destinata a farsi investire dalla luce ed eroi chiamati a fare i conti con poteri e responsabilità mai così sterminate: un groviglio che ci rimanda indietro di un decennio, non senza un bel po’ di groppo in gola nel guardare tutto in prospettiva.

Quello di Jon Favreau è stato dopotutto un vero e proprio film-capostipite, in grado di inaugurare un ciclo che ha ridefinito i termini del blockbuster tentpole e che trova in Endgame una chiusa magniloquente. Qualcosa che in pochi, all’alba di un’impresa di cui era difficile intravedere i confini così ampi, avrebbero potuto immaginare, date le ambizioni e le proporzioni che l’universo narrativo concepito da Kevin Feige ha saputo raccogliere e concentrare su di sé.

All’inizio di Avengers: Endgame veniamo catapultati in un mondo di macerie e di lapidi, eppure è ancora viva, in (quasi) tutti i personaggi, l’utopia di riscrivere il passato, di prendere il tempo in contropiede, di ridisegnare le sorti e il destino degli esseri umani. In filigrana si intravede, ancora una volta, l’America e i suoi archetipi, Ground Zero (le tombe a perdita d’occhio) e il dramma condiviso delle Torri Gemelle, l’eroismo a stelle e strisce e le sue debolezze chiamate a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Perché in fondo anche Tony Stark ha un cuore e non c’è narcisista che, dietro la megalomania e la volontà di potenza, non celi un’umanità sempre sul punto di esplodere.

In quest’utopia, che noi spettatori accettiamo e sposiamo con gratitudine e ammirazione, risiede il superpotere più vistoso di un film che regala, nell’arco delle sue tre ore, innumevoli emozioni e altrettanti colpi di scena. Donando la ribalta anche a personaggi fino a questo punto apparentemente minori e sacrificati come lo Scott Lang/Ant-Man di Paul Rudd, la Vedova Nera di Scarlett Johansson, l’Occhio di Falco di Jeremy Renner, gestiti con ottima sapienza tanto sul fronte dello storytelling quanto su quello dei palpiti del cuore. In ballo c’è un patrimonio narrativo enorme, perfino sconfinato, ma i fratelli Russo, dopo l’incredibile rendez-vous di Infinity War, dimostrano di avere ancora materiale da spendere con generosità.

La nostalgia, nell’arco di tutto Avengers: Endgame, è palpabile: la trovata principale del film permette di riepilogare dieci anni di Marvel Cinematic Universe e di tornare sulle orme degli episodi precedenti, ma la sceneggiatura degli inossidabili Christopher Markus & Stephen McFeely non si accontenta di far balenare la lacrimuccia schioccando le dita a comando come Thanos. Preferisce spingere sul consueto pedale dell’ironia, consolidato e riconoscibile marchio di fabbrica, alternando il coinvolgimento profondo (anche degli attori, mai così empatici) alla strizzata d’occhio e arrivando a una summa molto estesa e perfino definitiva del lavoro sull’immaginario pop intavolato in questi anni.

Un approccio che in Avengers: Endgame esplode definitivamente, anche grazie all’incredibile lavoro di ridefinizione comica fatto su due dei protagonisti (Hulk e Thor), portato alle soglie dello stoner movie e del trip alla Grande Lebowski, e che fa il paio con la continuity da universo condiviso che abbiamo imparato a conoscere e apprezzare. Se le sorprese sono sempre dietro l’angolo non è dunque merito esclusivo dei colpi di scena, dosati in maniera studiata e con tragica spettacolarità fino all’ultimo secondo, ma anche di un’imprevedibilità che rimescola puntualmente le carte e consente di scoprire nuovi lati di supereroi dei quali credevamo di sapere già tutto a menadito.

Avengers: Endgame è senz’altro una chiusura calcolata, perfino programmatica e in tal senso meno in grado di far saltare il banco rispetto a Infinity War, eppure al termine della visione l’eccitazione e la commozione si mescolano nello stesso brivido. E il merito, manco a dirlo, va attribuito a un’idea di mitologia contemporanea che i Marvel Studios hanno costruito passo dopo passo, con accortezza e cura editoriale capace di ragionare sul singolo film ma anche a più ampio raggio.

Approdando, per il gran finale, a un’esaltazione del girl e del black power che si fa carico della missione di ipotizzare l’impossibile, cogliendo ancora una volta il senso di un’immaginario da edificare attraverso modelli culturali tutt’altro che granitici e in costante, incessante evoluzione. A riprova di un incredibile polso sui tempi e di una capacità non comune di guardare oltre e di prefigurare nuovi e auspicabili scenari, perfettamente visibili dietro la miriade di easter eggs e le concessioni obbligate al fan-service.   

Il MCU come sappiamo non finisce davvero qui, dato che ritroveremo molti dei personaggi di Avengers: Endgame in film già annunciati come l’imminente Spider-Man: Far From Home e Guardiani della Galassia Vol. 3 (ma non solo). Quel che è certo è quest’ultimo racconto ci induce alla contemporanea presa di coscienza delle nostre forze e delle corrispettive debolezze, con un’imponenza visiva che trova ancora una volta nella spettacolarità di un grande racconto popolare, nel rispecchiamento in ciascuno dei Vendicatori, una quadra perfetta. Un invito alla condivisione e alla messa in circolo di pregi e punti deboli che mette voglia di volgere al plurale la sorprendente ammissione di Stark alla fine del film del 2008 da cui tutto è cominciato: siamo tutti Iron Man, siamo tutti, da sempre e per sempre, guanti di velluto e guanti d’acciaio.

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