Zerocalcare racconta Strappare lungo i bordi: «Sono un tristone. Piaccio a chi è impicciato come me»

Alla Festa del Cinema di Roma sono stati presentati in anteprima i primi due episodi della serie che sarà disponibile in streaming su Netflix a partire dal prossimo 17 novembre. Ce la racconta il suo autore

Zerocalcare racconta Strappare lungo i bordi: «Sono un tristone. Piaccio a chi è impicciato come me»

Alla Festa del Cinema di Roma sono stati presentati in anteprima i primi due episodi della serie che sarà disponibile in streaming su Netflix a partire dal prossimo 17 novembre. Ce la racconta il suo autore

Zerocalcare

Alla Festa del Cinema di Roma è stata presentata oggi Strappare lungo i bordi, la serie italiana di animazione scritta e diretta da Zerocalcare, pseudonimo del celebre fumettista Michele Rech. Prodotta da Movimenti Production in collaborazione con BAO Publishing nella figura dell’editore cartaceo Michele Foschini, Strappare lungo i bordi, composta da 6 episodi da circa 15 minuti ciascuno, è la prima serie d’animazione di Zerocalcare, debutterà su Netflix nella sua interezza il prossimo 17 novembre ed è ambientata nell’ormai noto universo narrativo dell’autore.

In un racconto costellato di flashback e aneddoti che spaziano dalla sua infanzia ai giorni nostri, Zerocalcare percorre un viaggio in treno con Sarah e Secco, gli amici di sempre, verso qualcosa di molto difficile da fare. Tutto, dai ricordi sugli anni della scuola alle lamentazioni esistenziali nei confronti della propria incompiutezza, è narrato con la voce di Zerocalcare. È con questo stratagemma che ogni capitolo della storia sembra costruire un tassello di un mondo fatto di pochissime certezze e di amicizie incrollabili. E quando nel finale tutti i pezzi saranno al loro posto, il mosaico che avranno costruito sarà una sorpresa per lo spettatore, ma anche per il protagonista. 

Zerocalcare. Foto: Stefania M. D’Alessandro/Getty Images for Netflix

Nella giornata di oggi Zerocalcare ha tenuto una conferenza stampa per i giornalisti e, in serata, un Incontro Ravvicinato con il pubblico della Festa in compagnia di Andrea Delogu. Nel primo dei due appuntamenti ha esplorato più nel dettaglio tutti gli aspetti della lavorazione di Strappare lungo i bordi. «Mi era venuta voglia un paio d’anni fa di raccontare una storia non a fumetti ma a cartoni, un po’ perché mi sembrava un linguaggio più accessibile che poteva coinvolgere più gente, anche da chi magari non avrebbe letto un fumetto verboso dei miei, e un po’ perché, essendo io un po’ un maniaco del controllo, vicino ai fumetti metto sempre delle note con un commento musicale per suggerire cosa ascoltare mentre li leggi. Se lo scrivo credo che soltanto uno su un milione si vada a sentire quei brani, mentre con la serie animata la cosa figa è che gli puoi imporre cosa ascoltare». 

«All’inizio pensavo che il mio successo arrivasse da Roma per via della romanità dei miei fumetti – spiega ancora l’autore – Poi mi sono accorto che non era una questione geografica, e allora ho pensato che si trattasse dei miei riferimenti generazionali, che piacevo a chi aveva visto i miei stessi cartoni da piccolo. Poi mi sono reso conto che non era nemmeno una questione di generazioni, e ho capito che il minimo comun denominatore di chi entra in sintonia con la roba mia è quello de sta un po’ impicciati. Si tratta di chi ha vissuto quel senso di inadeguatezza e insicurezza che ci si porta appresso da quando si è piccoli ai novant’anni. Magari invece chi è nato a Roma, ha la mia età, ha visto i miei stessi cartoni ma non ha vissuto questo sentimento non entrerà mai in empatia con le mie storie». 

Giorgio Scorza, Michele Rech, Michele Foschini e Ilaria Castiglioni. Foto: Stefania M. D’Alessandro/Getty Images for RFF

«Io sono un tristone – aggiunge poi – e nelle cose che faccio viene prima la roba melensa e piagnona e poi quella divertente. Ma siccome a Roma il piagnone è l’ultimo anello dalla catena alimentare e il più esposto alle prepotenze, al mio nucleo di fragilità da tristone ho costruito attorno a protezione un’impalcatura fatta di autoironia, leggerezza e umorismo. Se sei il primo che si prende in giro da solo gli altri non si prenderanno gioco di te così facilmente. Scusate, questo è il momento crepuscolare!» 

Tornando alla genesi di Strappare lungo i bordi, Zerocalcare spiega che la sua ultima serie di animazioni autoprodotte durante il lockdown è stata un po’ un preludio e una grande prova generale per la serie realizzata per Netflix. «Con Rebibbia Quarantine ho preso le misure di ciò che potevo fare da solo e di ciò per cui invece avevo bisogno di sostegno e aiuto da altri. Non si trattava solo della fluidità dell’animazione, ma anche di ciò che devi articolare raccontando una storia in termini cinematografici. Volevo avere il controllo del prodotto ma senza avventurarmi in territori sconosciuti e snaturare me stesso. La serie infatti è molto simile a La profezia dell’armadillo, ha lo stesso andamento, è come una linea orizzontale con tante deviazioni verticali». 

Zerocalcare

Zerocalcare. Foto: Stefania M. D’Alessandro/Getty Images for RFF

«Ho un grosso senso di appartenza tribale, sono molto legato ai mondi da cui provengo, ovvero i centri sociali e la scena punk romana, e tutto ciò che mi porta un po’ fuori da lì mi spaventa, temo di trovare dell’incomunicabilità – spiega ancora Zerocalcare a chi gli chiede della ricorrenza dell’idea di tribù nelle sue storie, compresa ovviamente l’ultima Strappare lungo i bordi – Finora sono stato molto fortunato e mi è andata sempre bene. Dopo questa serie molte cose mi sono chiare in vista di altri progetti d’animazione, ma non dico quali, perché se poi in realtà non le so fare faccio una figura di merda».

In Strappare lungo i bordi Zerocalcare, come ammette lui stesso, ha avuto modo anche di approfittare dei consigli dei suoi partner creativi. «Nella prima puntata della serie si parla dei cessi maschili. E Ilaria Castiglioni di Netflix mi ha fatto notare che mancava tutta una metà del mondo, parlando solo di bagni dei maschi. Sono andato quindi a chiedere alle femmine della loro esperienza e ho raccontato pure quella. La questione delle quote e della rappresentazione delle minoranze se non è fatta come fosse un compitino è utile perché racconta un altro punto di vista sul mondo, che è una cosa sempre migliorativa. Nella serie c’è una parolaccia ogni tre parole, ma io non metto mai nelle mie storie roba omofoba, sessista o razzista, a meno che non sia in bocca a un personagio negativo di quel tipo là».

Zerocalcare

Foto: Stefania M. D’Alessandro/Getty Images for RFF

Nella serie Zerocalcare ha doppiato tutti i personaggi con la sua voce: «Per me è come le vocette che fai a scuola per imitare le persone, imitazioni casarecce perché volevo ricreare l’atmosfera di uno che ti racconta una storia orale attorno a un tavolo». Unica eccezione l’Armadillo di Valerio Mastandrea che «è l’armadillo della mia vita reale molto prima di pensare a questioni di doppiaggio. Io non avevo idea di che voce avesse l’armadillo, che è la voce della mia coscienza, quella che entra in contrasto con me e mi mozzica, ma quando ho sentito Valerio doppiarlo ho capito che era perfettissimo, che dava un plus gigantesco a quell’impalcatura là. Valerio simile a me? Se glielo dici si ammazza».

La title track della serie scritta dal cantautore romano Giancane, con cui Zerocalcare ha creato un sodalizio nel 2018, durante la realizzazione del video del brano Ipocondria (feat. Rancore), canzone che ha costituito la colonna sonora degli short animati di Rebibbia Quarantine, prodotti nel 2020. Oltre alla sigla, Giancane fa capolino anche in una decina di altri momenti della serie, in cui sue composizioni originali impreziosiscono tanto le parti di comedy quanto quelle più intense. 

Zerocalcare. Foto: Stefania M. D’Alessandro/Getty Images for Netflix

Zerocalcare ha così commentato la scelta dei brani presenti in questo suo primo progetto animato: «Potrei aver scelto una colonna sonora un po’ da boomer, ma sono canzoni che mi hanno accompagnato per tutta la vita: ci sono molto gli anni ’80, mi piace la roba vecchia come Billy Idol, i Klaxon, Band of Horses, ma anche Tiziano Ferro, Manu Chao e tutta quella roba generazionale là, molto vicina a me. C’è anche un canzone di Ron, Non abbiamo bisogno di parole, insolitamente romantica per me ma serviva una roba melensa, di quelle che ascolti in macchina coi genitori, e che stridesse col punk del resto della colonna sonora: mi sono messo infatti a cercare su Google cose come “le 50 canzoni italiani più struggenti di sempre”. Il team di animazione di Movimenti ha davvero costruito intere scene intorno ai brani che avevo scelto, per dare vita a una narrazione fluida e interdipendente fatta di musica e immagini. Il risultato mi piace un botto».

Giorgio Scorza, Michele Rech, Michele Foschini e Ilaria Castiglioni. Foto: Stefania M. D’Alessandro/Getty Images for RFF

Zerocalcare. Foto: Stefania M. D’Alessandro/Getty Images for Netflix

Foto di copertina: Stefania M. D’Alessandro/Getty Images for RFF

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