Venezia 79, Alejandro G. Iñárritu presenta la sua “auto-fiction” Bardo: «Il nostro mondo si basa sulla narrazione»

Il regista messicano torna dietro la macchina da presa con un film tanto intimo quanto spettacolare

Venezia 79, Alejandro G. Iñárritu presenta la sua “auto-fiction” Bardo: «Il nostro mondo si basa sulla narrazione»

Il regista messicano torna dietro la macchina da presa con un film tanto intimo quanto spettacolare

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Dopo aver aperto la kermesse nel 2014 con Birdman, Alejandro G. Iñárritu torna con un lungometraggio in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Due Oscar dopo (è stato il terzo regista nella storia, dopo John Ford e Joseph L. Mankiewicz a vincere la statuetta per la Miglior Regia per due anni consecutivi, per il sopra citato Birdman e The Revenant) il regista messicano torna al Lido con Bardo: Falsa Crónica de Unas Cuantas Verdades, film fiume dalla natura fortemente personale prodotto da Netflix. Il protagonista della storia, Silverio (interpretato da Daniel Giménez Cacho), è un giornalista messicano che vive a Los Angeles. Quando gli viene assegnato un prestigioso premio internazionale, decide di tornare a visitare il Messico, inconsapevole che il viaggio lo metterà alla prova fisicamente e, soprattutto, emotivamente.

 «La storia di Bardo è molto personale per me ha dichiarato Iñárritu durante la conferenza stampa del film – ma non mi sognerei mai di scrivere e dirigere un’autobiografia. Sarebbe una noia mortale. Il termine che preferisco usare pensando a Bardo è “auto-fiction”». Secondo il regista, «Viviamo in un mondo in cui tutto è narrazione. Ho realizzato che ogni essere umano sul pianeta interpreta a modo suo gli eventi che vive e dei quali è testimone. Fa della realtà, appunto, una finzione. Per questo sono convinto che nella memoria personale non esista verità e che sia nostro compito analizzare al meglio delle nostre possibilità i nostri ricordi, pensieri e sogni. È questo che ho cercato di fare con questo film».

Foto: TIZIANA FABI/AFP via Getty Images

Il Bardo del titolo fa riferimento al limbo della tradizione buddista nel quale le persone attendono di reincarnarsi. «Mi piaceva l’idea di un individuo sospeso tra una dimensione e l’altra – ha continuato il regista – nel film, questa dimensione di passaggio rappresenta per me il luogo in cui i nostri sogni e ricordi muoiono quando ci poniamo domande esistenziali riguardanti il nostro passato». Questa dimensione spirituale del progetto viene portata in scena da una serie di sequenze oniriche attraverso le quali il protagonista cerca di fare pace con i fantasmi del suo passato, che Iñárritu dirige con maestria incredibile, grazie a lunghi piani sequenza e scene oniriche che ben rappresentano la confusione interiore di Silverio e donano al film un’aura fortemente onirica. Il tutto senza rinunciare a una ricca dose di ironia.

Questo ritorno alle sue origini permette anche al regista di affrontare il doloroso tema dell’immigrazione tra Messico e Stati Uniti, un dramma umano e sociale che da decenni colpisce il suo paese. «Mi sento un immigrato fortunato – ha ammesso Iñárritu – ho avuto le mie difficoltà, ma non posso certo paragonare la mia esperienza a quella di centinaia di persone costrette a lasciare il loro paese d’origine a rischio della propria vita. Essere testimone di quello che succede al confine tra i due paesi tra i quali mi divido è fonte di grande dolore per me». Proprio oggi, nel giorno della premiere veneziana di Bardo, cade il ventiseiesimo anniversario della partenza del regista e di sua moglie dal Messico verso gli Stati Uniti. «Non mi lamenterei mai del successo che ho avuto, ma, come tutte le cose, anche il successo ha il suo prezzo. Quando raggiungi un certo livello nel mondo del Cinema, le persone sembrano pretendere sempre di più da te. E fare film è un’attività fisica e mentale che ti porta via tutto il tempo e tutte le energie. Il film riflette anche su questo: arrivato ormai a sessant’anni, consapevole che la strada che ho davanti a me è più corta di quella che ho già percorso, è giunto il momento di riprendere in mano la mia vita e ridare priorità anche alla mia sfera personale» ha aggiunto.

Foto: Alessandra Benedetti – Corbis/Corbis via Getty Images

Pur raccontando la storia di un giornalista, in Bardo c’è anche molto cinema e amore per la settima arte: sono numerosi, infatti, i rimandi a grandi registi del passato, a partire da Federico Fellini. «Credo che non esista nessun regista al mondo che non sia stato influenzato da registi come Fellini, per citarne soltanto uno. Sono quelle personalità – ha concluso il regista – che hanno insegnato a me e a migliaia di appassionati in tutto il mondo la magia del Cinema, a quanto sia bello entrare in una sala cinematografica e sentirsi al sicuro come nel ventre della madre, per assistere al miracolo della Settima Arte, l’unica capace di fondere alla perfezione spazio e tempo».

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Foto: Netflix

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