Venezia 73, La luce sugli oceani non convince. La recensione del melò con Michael Fassbender e Alicia Vikander

Nonostante le virtuose prove attoriali, la storia di questo guardiano del faro e sua moglie costretti a fronteggiare l’impossibilità di avere figli risulta prevedibile e non coinvolge. L’opera meno riuscita di Derek Cianfrance

Venezia 73, La luce sugli oceani non convince. La recensione del melò con Michael Fassbender e Alicia Vikander

Nonostante le virtuose prove attoriali, la storia di questo guardiano del faro e sua moglie costretti a fronteggiare l’impossibilità di avere figli risulta prevedibile e non coinvolge. L’opera meno riuscita di Derek Cianfrance

Riuscire a catture gli attimi sfuggenti della vita. Dare la percezione che le immagini che scorrono sullo schermo racchiudano una luce di verità, che quello che stiamo vedendo non è soltanto finzione ma stia accadendo davvero. Sono in pochissimi a riuscirci: oltre a Richard Linklater (Boyhood, la trilogia di Prima dell’alba, l’ultimo Tutti vogliono qualcosa), Derek Cianfrance è uno di questi. Passato da documentarista, occhio allenato a leggere il reale, il regista ha ben dimostrato questa qualità registrando lo sfaldamento di un amore in una camera di motel in Blue Valentine; ora, dopo il più altalenante Come un tuono, torna con La luce sugli oceani. Che, diciamolo subito, è la sua opera meno riuscita.

Paradossalmente, ogni tassello è ben costruito in questo dramma ambientato dopo la Prima guerra mondiale con protagonista un guardiano di un faro sull’isola di Janus, in Australia, e sua moglie. Dalla ricostruzione storica alla regia ineccepibile (quanto neutra), dalla fotografia che cattura quella luce unica delle albe e tramonti dove si incontrano l’oceano australe e quello indiano, sino agli attori bravissimi (Michael Fassbender e Alicia Vikander; ne riparliamo dopo), i singoli elementi sono di innegabile qualità. Peccato allora che il dramma dei protagonisti rimanga lontano: le dinamiche del melodramma sono rispettate troppo alla lettera, il tutto è troppo prevedibile e didascalico, i ritmi troppo dilatati, e alla fine non si viene mai coinvolti del tutto.

Detto questo. Fassbender e la Vikander sono inevitabilmente convincenti. Il regista ha voluto che vivessero per sei settimane sull’isola per rendere il più veritiera possibile la loro interpretazione: sono dovuti diventare, essere, i loro personaggi (e infatti tra i due è nato l’amore). Due personaggi scritti per porsi agli opposti: lui, reduce della Grande guerra, con l’odore della morte ancora addosso, uomo ben ancorato a terra; lei istintiva, e di una vitalità così incontenibile che la fa quasi volare, camminare sempre a due metri dal suolo. Opposti che si sono attratti, ma che l’impossibilità di avere figli ha fatto allontanare. Un allontanamento che sembrerebbe azzerarsi quando sulla spiaggia della loro isola troveranno un neonato, insieme a una barca naufragata sugli scogli e al cadavere di uno sconosciuto. Cosa fare? I due decidono di far loro quella bambina, ma Tom (Fassbender), giorno dopo giorno, non riesce a sostenere il peso del segreto. Continuando a ribadire quanto il confine tra giusto e sbagliato sia sottile, e quanto la situazione cambi a seconda del punto di osservazione, La luce sugli oceani trascende dall’ambientazione nel passato per far leva su una tematica più che mai attuale, quella della genitorialità (un tema in qualche modo già caro al regista che, nelle sue opere precedenti, aveva tra i protagonisti diversi padri adottivi): la vera madre è quella che partorisce un figlio o quella che lo cresce? Tom non sa dare una risposta, ma vuole provare, come fa il faro di cui è custode che lascia l’isola al buio ma illumina chi naviga in mare aperto, ad aiutare gli altri a non perdersi nell’oscurità.


Leggi ancheVenezia 73, tutto il festival su Best Movie. Le recensioni dei film e i disegni di Zerocalcare

© RIPRODUZIONE RISERVATA
shortcode