Una birra al fronte: Zac Efron smarrito negli orrori del Vietnam. La recensione del film di Peter Farrelly 

Il nuovo film del regista dopo l'Oscar per Green Book, che schiera nel cast anche Russell Crowe, è disponibile su Apple TV+

Una birra al fronte: Zac Efron smarrito negli orrori del Vietnam. La recensione del film di Peter Farrelly 

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Una birra al fronte
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PANORAMICA
Regia (1.5)
Sceneggiatura (1.5)
Interpretazioni (2)
Fotografia (2)
Montaggio (1.5)
Colonna sonora (2)

Per mostrare il suo sostegno agli amici del quartiere che stanno prestando servizio in Vietnam, nel 1967 Chickie Donohue (Zac Efron) decide di fare qualcosa di veramente esagerato: viaggiare da solo verso il fronte per portare ai soldati un pezzetto di casa, la loro birra preferita. Il viaggio si trasforma presto in un’avventura in cui Chickie deve confrontarsi con la realtà di questa guerra controversa, e l’incontro con gli amici d’infanzia lo catapulta nelle complessità e responsabilità della vita adulta, tra formazione e amicizia, lealtà e sacrificio.

Basato sul memoir di un ex marine, The Greatest Beer Run Ever: A Memoir of Friendship, Loyalty and War, firmato da John “Chickie” Donohue e dalla giornalista Joanna Molly, il nuovo film di Peter Farrelly dopo il successo gli Oscar di Green Book s’inscrive stancamente nella folta produzione dei racconti sul Vietnam, cercando una chiave scanzonata e quell’idea di complicità virile chiamata ad attraversare i fondali e i paesaggi della Storia americana, come già accaduto nel film con Viggo Mortensen e Mahershala Ali.

Non siamo però purtroppo dalle parti né di Good Morning, Vietnam né da quelle di M.A.S.H.: Una birra al fronte, del tutto privo d’ispirazione ed equilibrio, non morde nella prima parte, divisa tra famiglia/comunità e manifestazioni pacifiste, e si inabissa letargico nella seconda, che coincide con uno dei war movie più verbosi e fiacchi mai concepiti, annacquato tanto nella satira quanto nella denuncia della menzogna come moneta politica e del complottismo che danneggerebbe i giovani patrioti.

Tutto è smussato e inerte, dalle fugaci vedute panoramiche sugli orrori del Vietnam ai ralenti patinati, le polveri del conflitto sono bagnate da consolatorie musiche anni ’60 (I’d Like to Walk Around in Your Mind di Vashti Bunyan, Today dei Jefferson Airplane,  I’m Alive di Tommy James and the Shondeel) e gli ammiccamenti al trumpismo già alle spalle come fase storica, almeno sulla carta, incartapecoriti e fuori tempo massimo per didascalismo e ingenuità.

Il baffuto protagonista interpretato da Zac Efron è poi bollito dall’inizio alla fine, sancendo forse il definitivo fallimento dell’attore di High School Musical in ottica nomination all’Oscar, mentre il giornalista Arthur Coates interpretato da Russell Crowe è fin troppo sacrificato dal disegno complessivo, anche quando si tenta di elevarlo a vessillo filosofico dei discorsi che Una birra al fronte prova a portare avanti sul Vietnam come “guerra delle pubbliche relazioni” ma anche come “gigantesca scena del crimine”.

Si salva di fatto solo il saporito cameo di Bill Murray, “Colonnello” dietro al bancone di un bar che issa la bandiera a stelle e strisce, è conciato come Michael Douglas in Un giorno di ordinaria follia ed è ostile alla guerra raccontata in televisione ai suoi tempi, presumibilmente con la stessa fiacchezza dilagante di Una birra al fronte. «Se avessimo visto le Ardenne in tv, avremmo perso e ci saremmo arresi – dice, nell’unica battuta davvero degna di nota del film – E invece…». 

Foto: Skydance Media, Apple TV+

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