La quarantesima edizione del Torino Film Festival è in programma nel capoluogo sabaudo dal 25 novembre al 3 dicembre, sotto l’egida del Museo Nazionale del Cinema – presieduto da Enzo Ghigo e diretto da Domenico De Gaetano – con la direzione artistica di Steve Della Casa, che è tornato a dirigere la manifestazione a distanza di vent’anni, in attesa di scoprire come cambierà l’organigramma dell’evento per le prossime edizioni (consulenti della Direzione Artistica sono Luca Beatrice, Claudia Bedogni, Giulio Casadei, Antonello Catacchio, Massimo Causo, David Grieco, Grazia Paganelli, Giulio Sangiorgio, Caterina Taricano, Luigi Mascheroni, Paola Poli, Alena Shumakova e Luciano Sovena).
L’edizione numero 40 del Torino Film Festival segna il ritorno in sala del pubblico e a partire da questa prospettiva sono stati concentrati tutti gli sforzi, proprio come scelta strategica da parte del Museo Nazionale del Cinema. La novità di Casa Festival, una cittadella del cinema aperta al pubblico e situata nel suggestivo scenario della Cavallerizza Reale nel centro di Torino, è a suo modo simbolica: il festival vuole coinvolgere la città, vuole che gli addetti ai lavori e gli artisti si mescolino con il pubblico come è avvenuto nella grande tradizione del Torino Film Festival.
Iniziamo a farci largo, in un programma – come molto spesso accade a Torino – molto ricco e denso, con le nostre mini-recensioni delle visioni accumulate in questi giorni all’ombra della Mole.
FUORI CONCORSO
IL CRISTO IN GOLA
(Antonio Rezza, Italia, 2022, 78’)
CONCORSO LUNGOMETRAGGI
LA HIJA DE TODAS LAS RABIAS
(Laura Baumeister, Nicaragua/ Messico/Olanda/Germania/ Francia/Norvegia/Spagna, 2022, 91’)
Realismo magico in Nicaragua. Il viaggio di una bambina in un mondo ostile riscattato dalla fantasia, dove annaspando sotto i cumuli di rifiuti non resta altro da fare che liberare lo sguardo, alla ricerca di un ultimo “carico residuale “di poesia e speranza possibile. Un coming of age crudele, frammentario e tenero, aperto alla genesi spontanea e infinitamente riproducibile dell’imprevisto e del possibile e alle vibrazioni della delicatezza e della pietà, figlia – illegittima, eppure inviolabile – di tutte le rabbie.
FUORI CONCORSO / RITRATTI E PAESAGGI
NAPOLI MAGICA
(Marco D’Amore, Italia, 2022, 90’)
Marco D’Amore, il Ciro Di Marzio di Gomorra – La serie, racconta a modo suo una Napoli molto diversa dagli stereotipi abituali, immergendosi nella convivialità delle interviste porta a porta nei quartieri popolari («Signora, mi sa dire perché Napoli è magica?») e arrivando a sprofondare, da novello Alberto Angela partenopeo, in una città nella quale il confine fra la vita e la morte è molto labile, le catacombe sono una fatale condizione identitaria ed esistenziale e si finisce, come d’abitudine, a camminare ignari sui cadaveri. Colonna sonora di pregio, che rifugge anch’essa i brani classici e troppo risaputi del ricco repertorio musicale vesuviano, approdando però naturalmente, come il finale di È stata la mano di Dio insegna e forse impone, a Pino Daniele (la canzone scelta, però, non è Napul’è).
NUOVIMONDI
COMA
(Bertrand Bonello, Francia, 2022, 80’)
CONCORSO DOCUMENTARI INTERNAZIONALE
OCTOPUS
(Karim Kassem, Libano/Usa/Qatar, 2021, 65’)
Beirut, qualche giorno dopo l’esplosione nel porto. Sinfonia di una città ferita, attraverso squarci ellittici e silenziosi, nell’alba (tragica) di una rinascita impossibile. Un film di montaggio e inevitabilmente di macerie, attonito e impassibile, pittorico e svuotato da ogni refolo di vita, conficcato in un inferno abissale e silente dove tutto si annulla e collassa, spalancandosi su un terrificante cratere vuoto – non solo fisico e urbano, ma anche morale – che chissà quando tornare a essere riempibile, ri-edificabile, re-immaginabile.
CONCORSO DOCUMENTARI ITALIANI
VITA TERRENA DI AMLETO MARCO BELELLI
(Luca Ferri, Italia, 2022, 98’)
Tutto quello che avreste voluto sapere sul Divino Otelma. Da Luca Ferri, strutturalista e surrealista, un film di montaggio nato da oltre 50 sessioni di zoom, tenutesi nell’arco di altrettante settimane e in piena pandemia, in compagnia del «più noto e frainteso esoterista italiano». Luca Ferri imprigiona il Divino in una griglia ossessiva e confortevole, a partire dalle cui maglie fittissime lasciar deflagrare riflessioni e prese di coscienza sulla vita, la morte, la vita oltre la morte, la morte che – come sempre nel cinema di questo regista radicale, oltranzista, senza ritorno – si è già fatta largo nella vita e le ha succhiato impunemente il sangue. Un autoritratto che evita ogni abisso offerto su un piatto d’argento dal ridicolo, dal farsesco e dalla snobismo burlesco a buon mercato, per prediligere un rigore attonito in cui l’infanzia del “Pargolo Divino” è una terra straniera da rievocare e rimettere in scena, addirittura dai balconi dei lockdown, e la madre è panacea e sollievo da ogni (dis)umana precarietà e miseria. «Alla fine del film ci saranno quelli che diranno non ho capito niente e quelli che diranno ho capito tutto», e va bene così», ha sentenziato il Divino Otelma introducendo il film a Torino: tertium non datur, l’Oracolo ha parlato, la mistica è come sempre una faccenda dannatamente umana (e perfino umanista) e la verità non può che stare nel mezzo.
CONCORSO LUNGOMETRAGGI
UNREST
(Cyril Schäublin, Svizzera, 2022, 93’)
Nella Svizzera della seconda metà dell’Ottocento: essere padroni del tempo, contro il tempo del padrone. Da un regista emergente già premiato a Berlino per la regia nella sezione Encounters, Unrest è ambientato sulle colline dove si fabbricano gli orologi, nell’elvetica Saint-Imier, e rema in direzione ostinata e contraria rispetto a ogni gusto e scorciatoia à la page. Trova piuttosto, nella parabile dell’ideologo anarchico Pyotr Kropotkin, un grimaldello per riflettere sulle catene e le sorti dei destini temporali (da leggersi in opposizione a spirituali, anche) dell’uomo e dei suoi orizzonti politici. In gran parte irrisolto e ingessato, anche nell’idea di messa in quadro che rifiuta volutamente ogni punto di fuga antropocentrico e decentra i corpi dal cuore delle ricercatissime inquadrature, ma anche sufficientemente affascinante e spigoloso.
CONCORSO LUNGOMETRAGGI
RODÉO
(Lola Quivoron, Francia, 2022, 110’)
Dal Certain Regard di Cannes un’opera prima ribelle e insolente, costellata di asfalto e adrenalina: la maniera rabbuiata e fosca attraverso cui certo cinema d’autore contemporaneo europeo continua a codificare se stesso, e il maledettismo di facciata che purtroppo inevitabilmente ne deriva, non cancellano però del tutto il randagio vitalismo di un esordio dall’energia al contempo rombante e luttuosa, in grado di accelerare e sgasare a più riprese ma senza per questo lasciar mangiare la polvere alle ragioni del cuore, della benzina e del sangue.
CONCORSO DOCUMENTARI ITALIANI / FUORI CONCORSO
UNA GIORNATA NELL’ARCHIVIO PIERO BOTTONI
(Massimo D’Anolfi, Martina Parenti, Italia, 2022, 35’)
POST-PROD
(Lorenzo Casali, Italia, 2022, 43’)
Come ti reinvento il film su commissione: due brevi documentari sul ripensamento (politico) dei luoghi, sullo spazio che si fa Storia. Il film di D’Anolfi e Parenti, in particolare, è un piccolo, sontuoso film archivistico e di montaggio sulle origini proletarie di alcuni spazi operai milanesi, nel quale la sensibilità tetragona e quasi architettonica per didascalie, informazioni e materiali si associa a una commovente fede per la statura storico-sociale delle immagini e dei documenti. Il secondo film associato al primo in proiezione, Post-Prod, ricorda invece più il pugno di ferro inscalfibile del loro stesso Spira Mirabilis, dalla cui irricevibile e illeggibile “materia oscura” il cinema della coppia di autori milanesi sembra essersi per fortuna oggi liberato, per spiccare sempre più il volo e deliziare, come in questo caso, con un connubio esaltante di ricerca, riscrittura, riscoperta.
CONCORSO DOCUMENTARI INTERNAZIONALE
CORSINI INTERPRETA A BLOMBERG Y MACIEL
(Mariano Llinás, Argentina, 2021, 100’)
Il tango, il cantante, il poeta e il compositore: Mariano Llinás, il regista del fluviale La flor (ben 14 ore che si erano viste anche al Torino Film Festival) e sceneggiatore del recente Argentina, 1985, realizza un film sull’Argentina e su un suo eroe – o forse un dittatore – a partire da una babilonia di suggestioni di ogni ordine e grado riversate nella consueta, avvolgente, arzigogolata e limpidissima vena affabulatoria dell’autore di Historias extraordinarias. Architrave cruciale dell’anarchica e peculiare casa di produzione El Pampero Cine, collettivo artistico e cinematografico di rigenerante e scapigliata libertà creativa, Llinás si conferma un cineasta-mondo dalla straordinaria torcida intellettuale e dall’ironia corrosiva e irresistibile: qui siamo dalle parti di un film musicale che diventa un’installazione formale, letteraria e culturale a tutto tondo, un po’ come avrebbe potuto pensarla e dirigerla Jonathan Demme. L’esecuzione continua, consumata in appartamento, e sempre convocata sulla scena del repertorio tradizionale e popolare argentino invade e perfino trascende a più riprese il tessuto del film, irrorandolo di spunti antropologici, etnografici, filosofici, sociali, aneddotici, politici (Corsini è Ignacio Corsini, cantante argentino degli anni Venti e Trenta del Novecento che, secondo Llinás, sarebbe più grande di Carlos Gardel, mentre Blomberg e Maciel sono rispettivamente un poeta e un chitarrista, entrambi parolieri per Corsini nel disco evocato dal titolo). I testi delle canzoni di cui si parla ci portano negli anni di Juan Manuel de Rosas, governatore di Buenos Aires tra il 1829 e il 1859, ritenuto da alcuni un leader populista e da altri un sanguinario dittatore nella guerra tra gli unionisti e i federalisti alla base della genesi dell’Argentina moderna (il barbuto e stropicciato regista, dal canto suo, non sembra avere per quel che vale alcun dubbio…). Que viva dunque Mariano Llinás, inguariabile guascone e geniaccio matto come un cavallo e meravigliosamente imprendibile, scanzonato, atipico, in definitiva uguale solo a se stesso e perciò da tenersi stretto custodendolo gelosamente.
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