The Whale: Brendan Fraser è un uomo di 300 chili nel commovente film di Darren Aronofsky. La recensione

A cinque anni di distanza dall'ultimo controverso Madre! il regista di The Wrestler e Il cigno nero porta in Concorso a Venezia 79 il suo nuovo film, tratto da un'opera teatrale del drammaturgo statunitense Samuel D. Hunter e con la star de La mummia alle prese con una trasformazione incredibile

The Whale: Brendan Fraser è un uomo di 300 chili nel commovente film di Darren Aronofsky. La recensione

A cinque anni di distanza dall'ultimo controverso Madre! il regista di The Wrestler e Il cigno nero porta in Concorso a Venezia 79 il suo nuovo film, tratto da un'opera teatrale del drammaturgo statunitense Samuel D. Hunter e con la star de La mummia alle prese con una trasformazione incredibile

The Whale Fraser
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PANORAMICA
Regia (4)
Interpretazioni (5)
Sceneggiatura (4)
Fotografia (4)
Montaggio (4)
Colonna sonora (3.5)

Charlie (Brendan Fraser) è patologicamente obeso. Pesa quasi 300 chili e ogni movimento gli costa uno sforzo sovrumano. La sua casa è disseminata di maniglie e cavi, che lo aiutano a distendersi a letto, lavarsi o semplicemente alzarsi in piedi. Per camminare usa un deambulatore ma la gran parte della giornata la passa seduto sul divano. 

Charlie è un insegnante di letteratura inglese che tiene i corsi da casa, in videochat, fingendo che la fotocamera del suo computer non funzioni per nascondere il suo aspetto. Agli studenti, impegnati a scrivere temi e tesine, cerca di insegnare l’onestà, sopra ogni tratto stilistico. Le sue giornate sono millimetrate dai pasti, dai programmi televisivi, dalle visite di un’amica infermiera che tenta senza successo di convincerlo a ricoverarsi. 

Consapevole che i suoi giorni sono agli sgoccioli, Charlie prova a ricostruire il suo rapporto con la figlia Ellie (la Sadie Sink di Stranger Things), adolescente ribelle, intrattabile, che gli rovescia addosso disprezzo e rancore, per avere abbandonato lei e sue madre oltre dieci anni prima, per amore di un suo studente.

Il cinema di Darren Aronofsky (Il cigno nero, Requiem for a Dream) è da sempre spezzato in due: da una parte i massimi sistemi, le allegorie fantasy, uno sguardo fuori misura al servizio di ambizioni colossali (The Fountain, Madre!), dall’altro le ballate di provincia, la poetica dei perdenti e l’elegia della sconfitta. Il paradosso è che, proprio come in The Wrestler, è in questa seconda versione, chiuso in due stanze, che il suo cinema trova una grandiosa vena epica, una vena che in film come Noah invece manca completamente.

E proprio come in The Wrestler, The Whale racconta di un uomo spezzato nel fisico, alla deriva, che lotta con la vergogna di sé, mentre prova a riconnettersi con la figlia. Brendan Fraser, che per il ruolo ha dovuto indossare oltre 130 chili di protesi e la cui storia personale echeggia vagamente nella condizione del protagonista, recita per quasi tutto il film in una sola stanza, compiendo un lavoro di eccezionale espressività. In Charlie convivono un corpo immenso e sgraziato, e un animo sensibilissimo, rispetto al quale i sensi di colpa e i dolori del passato, la stessa frattura familiare, non hanno intaccato la fiducia nel prossimo e la convinzione che nel pensiero e nella parola si nascondano degli strumenti di guarigione, la maggiore possibilità di riconnessione col mondo.

Come un mostro nascosto in una caverna, che quando lo stani si svela come la più indifesa delle creature, il protagonista di The Whale – sformato, sfinito, disarmato dal suo passato, aggrappato al suo presente – è insieme istanza estetica, narrativa e morale. In lui convivono tanti fardelli dello sguardo conservatore: il peso, l’omosessualità, lo stigma del tradimento nella famiglia borghese. La ricomposizione del nostro “disgusto” (“Io ti disgusto?”, chiede spesso Charlie ai suoi visitatori, tutti apparentemente desiderosi di “salvarlo”), passa per l’accettazione della sua libertà di vivere, amare e morire, oltre ogni inquadramento sociale, oltre ogni norma condivisa, oltre ogni apparenza.

Il piccolo miracolo del film, che è in parte di Aronosfky e moltissimo di Fraser (oltre che dell’autore del testo Samuel D. Hunter) è di fare di quel disgusto, di quel rifiuto, la materia di un legame empatico fortissimo, sciogliendo ogni riserva in una profonda, duratura commozione. 

Foto: Protozoa Pictures

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