Il Palace Hotel è uno straordinario castello progettato all’inizio del 1900 che si trova nel bel mezzo di una valle svizzera innevata, dove ogni anno convergono da tutto il mondo ospiti ricchi e viziati, in un’atmosfera gotica e fiabesca. La festa di Capodanno 2000 li ha riuniti tutti in un evento irripetibile. Al servizio delle loro stravaganti esigenze c’è uno stuolo di camerieri, facchini, cuochi e receptionist. Hansueli, zelante direttore dell’albergo, passa in rassegna lo staff prima dell’arrivo degli ospiti, ribadendo che, pur essendo l’alba del nuovo millennio, non sarà la fine del mondo.
In effetti, quella che si prepara è davvero una guerra combattuta a colpi di stravaganze ed eccentricità degli ospiti dell’hotel. Le varie storie danno vita a una commedia assurda, nera e provocatoria. È la fine del 1999: non solo l’epilogo di un secolo, ma la fine di un intero e controverso millennio, e nell’aria aleggia il Millennium Bug.
Presentato Fuori Concorso a Venezia e al cinema dal prossimo 28 settembre con 01 Distribution, The Palace, il nuovo film di Roman Polanski, può vantare una sceneggiatura scritta dal regista insieme al maestro polacco suo connazionale Jerzy Skolimowski, che aveva già co-sceneggiato il suo Il coltello nell’acqua (1962), e alla collaboratrice di quest’ultimo Ewa Piaskowska nel corso di sei settimane, durante una pausa nella lavorazione del loro EO.
«Per quasi mezzo secolo ho frequentato in Svizzera il Gstaad Palace, dove soggiorna un’élite estremamente ricca e poliglotta, attorno alla quale si muove il proletariato dell’hotel – ha dichiarato Polanski presentando il film nelle sue note di regia -. Questi due mondi sono, a loro modo, esilaranti, a volte persino grotteschi. Tutto li separa, a partire dalle loro opinioni politiche. Li unisce solo la figura del direttore dell’albergo, che si prende cura di tutti e cerca di accontentare tutti, a volte in verità dovendo sopportare sia i clienti sia il personale. Con abilità diplomatica, trova una via d’uscita dalle situazioni più improbabili. L’idea di fare un film su questo mondo esotico mi è venuta immediatamente. Doveva essere una commedia, un po’ brusca e sarcastica, severa nei confronti dei personaggi del film, ma non priva di un tocco di indulgenza e simpatia».
Il budget del film, che ha le sembianze di un vero e proprio cinepanettone alla Neri Parenti ma investito di temi sociali e metafore politiche scottanti, con la paura del Millennium Bug del 2000 fatta confluire sotto forma apocalittica e sublimata dall’ascesa al potere di Vlamidir Putin, oggi artefice del conflitto russo-ucraino, è stato di 17 milioni di euro, dei quali 4 sono stati investiti personalmente dallo stesso Luca Barbareschi: un amico personale di Polanski di lunghissima data, che nel film interpretata un pornodivo superdotato e armato di sci (nel cast anche Oliver Masucci, Fanny Ardant, John Cleese, Bronwyn James, Joaquim De Almeida, Luca Barbareschi, Milan Peschel, Fortunato Cerlino e Mickey Rourke).
All’inizio delle riprese, la rivista di settore Variety ha riportato che The Palace sarebbe stato il primo film di Polański a non ricevere finanziamenti dalla Francia, Paese in cui il regista risiede dal 1978 a causa di una condanna per stupro negli Stati Uniti. Il film è stato girato al Palace Hotel di Gstaad in 17 settimane. Al Lido di Venezia, invece, abbiamo incontrato oggi alcuni membri del cast, ovvero Barbareschi, l’attrice francese Ardant, l’attore italiano Cerlino e il portoghese De Almeida, che ci hanno raccontato personalmente la loro esperienza e delle loro considerazioni su Polanski, il film e le tematiche scomodate. Di seguito un resoconto completo del nostro dialogo.
Luca Barbareschi
“Roman ha novant’anni quest’anno, abbiamo festeggiato il suo bar mitzvah. Ha grande energia, non invecchierà mai perché è curioso di tutto, può parlarti di ermeneutica, di nuove tecniche per operare, meccanismi spaziali, sembra un onnivoro. Quando parte il film vi entra come la fisica quantica però, ed è totalmente concentrato su quello. Sì chiede tanto perché ogni singola scena viene fatta e studiata nella maniera perfetta e più giusta, in un percorso di qualità che va da zero a infinito. È uomo buono, leale, intelligentissimo, molto lucido, generoso. Quando vado a Gstaad mi sveglia per prepararmi la colazione, mi accompagna a camminare. Leggendo i giornali e pensando a ciò che gli attribuiscono, penso che ci voglia molta cattiveria per speculare sulla vita di un uomo così gentile“.
“Emanuelle, sua moglie, che lo difende sempre, ha scritto di recente un libro molto bello su di lui che spero venga tradotto anche in Italia. La creatività ha dei bioritmi importanti, quando non c’è non va forzata, lo vedete anche voi giornalisti quando scrivete, a volte siete ispirati a volte no. Lavorare con Roman è una scuola, di metodo e di pazienza. Mi ha detto in una lettera: tu sai girare come giro io, se muoio finiscilo tu il film. Il film è pieno di citazioni, politico, balzacchiano, una Comédie humaine dove c’è Putin e qualcuno che vuol distruggere l’Europa, ma forse non sono i russi. Fatto un anno prima della guerra fa davvero riflettere”.
“Il film ha dei messaggi fortissimi con l’intelligenza che ha Roman. Era contento ma dentro ha anche un po’ di malinconia, perché pensa: “What’s next?“. Gli auguro di vivere come diciamo noi ebrei a 120 anni e 3 giorni, ho imparato da lui che non smettendo di sognare e di essere curiosinon si muore mai, si rimane dei quindicenni. La mattina andiamo a correre, sciare“.
Fanny Ardant
“Ho amato questa marchesa perché la trovavo davvero portatrice di una dolce follia, un personaggio con questo cane appresso che non avevo mai recitato. Il set era una mescolanza di italiani, francesi e svizzeri, come in un mondo a parte ma estremamente piacevole. Oggi tutti ammirano la gente ricca, ma questo film mostra quella gente è davvero, la rispecchia. Tutti ammirano Elon Musk perché è ricco ma è un cretino, mentre magari non si parla mai di un grande poeta o scrittore solo perché non ha soldi. Non si parla più della morte o dell’invecchiamento. Non si dice più “è morto”, ma ci ha lasciato. Non si dice più ospizio di vecchi, ma casa di cura. Ma tutti mi chiedono sempre continuamente com’è invecchiare”.
L’invecchiamento è interessante perché è l’anti-camera della morte, ma cosa ne vai a fare di questa camera? Non puoi essere così stupido da pensare che possa durare per sempre. Il Generale De Gaulle diceva: «La vecchiaia è un naufragio». È infantile pensare di passare tutta la vita senza dolore e cose difficili, è questo che rende la vita interessante, affrontare le cose irrimediabili. Che barba che ora la scienza voglia farci vivere fino a 120 anni”.
“Roman ha diretto questo film con un’energia folle da ragazzo, piccolo, fermo, che improvvisa con grande passione, senza mai mollare. Ha fatto dei grandi film e ha sempre l’energia di fare la cosa che l’appassiona. Io credo che uno debba lasciare il mestiere se non è più appassionato, perché sennò non vale la pena. Aver fatto le cose che ho amato è stato il più grande lusso della mia vita“.
Joaquim De Almeida
“Avevo conosciuto Polanski perché avevo fatto un film con sua moglie tanti anni fa, poi mi hanno mandato un copione che ho trovato abbastanza strano. Però mi sono detto: sicuramente diretto da lui questa cosa cambierà! Roman è un regista cui piace farti rifare le piccole cose. Prima di fa vedere quello che vuole, recita lui. Per lui è sempre il quadro che conta, ha sempre l’obiettivo nell’occhio, è un regista che lavora alla vecchia. La mattina le cose vanno molto a rilento, poi quando noi siamo stanchi e vogliamo andare a casa lui è nel pieno del suo ritmo! Per la scena del cane e del pinguino camminava a quattro zampe sotto il tavolo per vedere dove inquadrava, ogni giorno metteva le ginocchia per terra”.
Fortunato Cerlino
“Polanski gioca con gli attori, nasce come attore, lavora sulle pieghe. All’inizio ho recitato con lui che recitava in una scena, faceva lui stesso uno dei personaggi sul set. È un artigiano vero, con lui sembra di stare a bottega. Vedendo Gomorra e altre cose mie ha intuito che la tragedia e la commedia sono figlie della stessa madre, che quando sublimi la tragedia arriva la commedia. Io tra l’altro nasco a teatro, dove facevo le commedie e facevo ridere”.
“Il film racconta l’imbarbarimento e la disperazione delle persone più influenti al mondo, dal corpo martoriato dagli ideali di bellezza da raggiungere al finale che ha montato pochi giorni prima della Mostra, in cui evidentemente vuole dire che stiamo andando tutti a farci fottere. Roman ha raccontato, in una commedia che forse lo è solo in apparenza, dove siamo adesso e dove forse saremo anche in futuro. Ci aspettavamo un millennium bug psicologico ma è stato spirituale, è arrivato nelle anime delle persone e ha fatto saltare tutto“.
Foto di copertina: Getty (Stefania D’Alessandro/WireImage)
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