Ah, Venezia! Ah, Visconti! Ah, Thomas Mann! Unite i puntini e capirete qual è la prima parola che collega questi due autori e la laguna, nel mio immaginario. Per spiegarvi la mia idiosincrasia manifesta nei confronti degli uffici stampa, avrei potuto parlarvi delle peripezie classiche in cui si incorre e ci si rincorre quando un film è in uscita. Ma, a questo punto, visto che di uno scontro tra Saiyan stiamo parlando, è meglio raccontarvelo al massimo grado di potenza, col casco di banane in testa! E se davvero volete vedere degli scimmioni che se le danno di santa ragione, non potete che passare tre giorni in un festival, mentre si presenta un film. Ora, visto che Cannes è troppo chic per me, almeno fino a quando Moretti o Sorrentino non capiranno che hanno aspettato anche troppo prima di farmi fare il protagonista di un loro film; visto che Berlino è troppo radical per me, e visto che a Locarno ho già fatto troppi danni, posso solo raccontarvi di Venezia.
A Venezia, in concorso, ci sono stato una volta sola, con Venti Sigarette, di Aureliano Amadei, uno dei film più belli che abbia mai fatto. Credo. Perché arrivai al lido di mattina presto, totalmente in hangover da Brescia, con quell’oretta di sonno in treno, e feci il red carpet un’ora dopo, inforcando i Ray-Ban, abbracciato alla Crescentini, e in condizioni pietose. Entrai in sala e invece di mettermi col resto del cast, mi sedetti in fondo, nascosto, e mi addormentai. Mi svegliò, scrollandomi pesantemente, il tizio seduto accanto a me, dicendomi “Che gran film! Complimenti!”, a fine proiezione. Non mi avevano svegliato nemmeno le bombe, in questo caso letteralmente. Mentre la gente applaudiva (avete presente i famosi “20 minuti di applausi”? Ecco, io li ho sentiti davvero) mi sono avvicinato agli altri, salutando e ringraziando come se fosse merito mio. Qualche settimana dopo ho visto il film in un cinema, a Roma. E ho scoperto che Aureliano aveva quasi completamente tagliato il mio personaggio, al montaggio. Ed era anche il motivo per cui aveva fatto decisamente un capolavoro, un film bellissimo, con una grande regia, necessario, in cui dimostrava quanto fosse bravo. In un Paese normale ne avrebbe fatti già altri 5, da allora.
Ma dicevamo, Venezia. Il posto dove gli uffici stampa diventano Super Saiyan. Dove fai 172 interviste “concordate” in 40 minuti, e vorresti raccontare mille cose e invece ripeti sempre le stesse. E c’è la visione per il pubblico, che di solito va bene. E quella per la critica, che se va male non si deve dire nulla, nemmeno chiedere spiegazioni. Si sorride e basta. E il red carpet, dove tutti si affannano a essere “glam” e poi arriva Lady Gaga che sembra un barboncino rosa e biondo e comunque vince lei. E rispondi a tutte le domande che ti fanno, perché a quel film ci hai creduto, hai dato l’anima e poi chiedi «Ma hai visto il f lm?». Non ancora, dicono. Ecco, Venezia è il regno del “non ancora”, del “ci vediamo dopo” e dei party.
Ogni terrazza ha un party, ogni sponsor fa un party, ogni film ha un party. E ogni party ha un addetto stampa. Che ti accompagna al “carpet” ogni volta di un colore diverso, una “photo opportunity” e un sacco di scatti da fare e farsi. Ora ve lo dico, più è figa una festa, meno foto vedrete. Promuovere è il grande mantra che sentirete aleggiare sul Lido, sperando che non piova, promuovere qualunque cosa, da un brand improbabile fino al promuovere se stessi.
E il fim? Aspetta, quale film? E sorridere, sorridere, sorridere, perché, se no, che sei venuto a fare? A guardare i film, vorresti dire. Vi do una notizia, a Venezia non ci sono solo i vestiti. Ci sono dei posti, chiusi, dove proiettano i film. Perché Venezia ha dei programmi meravigliosi, perché Kore’eda oggi lo apre, ma nel ’95 arrivava all’esordio, perché Ang Lee ci porta i cowboy e poi vince gli Oscar, e come lui tanti altri. Perché a Venezia ci sono tutti, ma Venezia è in Italia, e a noi tafazi piace parlarne male, perché Venezia è peggio del David, che se ci vai è bellissimo e se non ci vai fa schifo. Anche perché, se non ci vai, è perché non ti hanno preso. Perché metà dei cineasti nel mondo quando fa un film spera di andarci, a Venezia. Poi ci arriva e c’è sempre un addetto stampa che ti gira come una trottola come fossi dentro Inception.
E la trottola gira, gira, gira, e non fai mai in tempo a capire se si ferma o no. Come a Venezia, al festival. Forse è un sogno, forse no. Chiedetelo al vostro ufficio stampa.
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