E venne il giorno… Il primo giorno di set è, in assoluto, uno dei momenti più esilaranti e allo stesso tempo deliranti a cui si possa assistere. Si comincia con quello che sarà un gruppo fatto da almeno una quarantina di persone che faranno il lavoro di cinquanta e per cui ne servirebbero sessanta. Si parte tutti con le migliori intenzioni, il giorno prima: «Domani facciamo una giornata leggera» dice il regista. «Domani facciamo una giornata leggera!!!» fa riecheggiare la produzione. E puntualmente si arriva a fare due ore di straordinario, proprio per quanto detto sopra. «Eh, la macchina si deve oliare ancora!» dice da una parte la produzione per evitare di pagare gli straordinari alla troupe, mentre dall’altra infama il regista e la sua famiglia fino a tre generazioni precedenti per questo ritardo “immotivato”.
Su un set, frequenti per quattro, cinque (o se sei molto fortunato e la produzione molto ricca anche sei) settimane della gente con cui spesso non finiresti mai a bere un caffè, e con cui, invece, diventi sodale a livelli impareggiabili. Tutti hanno gli stessi orari, quindi ci si muove in branco tra autogrill, supermercati aperti di notte e trattorie che fanno da mangiare molto presto. Stare qui a definire ogni singolo ruolo sarebbe inutile: di metà di quelli che ci sono su un set non ho ancora capito il compito e, di questi, la metà non ha davvero ancora capito cosa faccia sul set. Poi arrivano e lo fanno. Eccome se lo fanno.
A noi attori ci pagano per aspettare: recitare lo facciamo gratis, e per questo chiediamo dei camerini comodi, per poterci dormire dentro. Almeno così ci piace raccontarcela, visto che alla fine siamo nel vortice come e peggio degli altri. Sento spesso, da osservatori esterni, dire «Eh, ma quello è rimasto chiuso nel camerino»… E cosa dovremmo fare? Dal set ci cacciano e vogliono sempre sapere con esattezza dove siamo. Giustamente. Io, ad esempio, avviso l’aiuto regia ogni volta che vado a fare pipì. E lui mi dice «Grazie». Ed è anche una cosa normale. Così, per dire.
Ma parliamo della “non continuità di ripresa”: può capitare che il primo giorno di set si giri l’ultima scena del film, o viceversa. Molti lo detestano, io lo adoro. Vedete: in teatro tu hai un arco, un percorso emotivo. Cominci in un modo e finisci, dopo un viaggio, in un altro. Inoltre, ogni sera l’emozione sarà diversa in base alle tue condizioni, quelle del pubblico, del teatro, dei tuoi colleghi, alla tua salute in quel momento preciso. In un film ti dedichi ogni volta a una scena diversa e, una volta fatta, è fatta per sempre. Per sempre. Non sarà mai più ripetuta e non potrai mai più cambiarla. Per questo devi arrivare lì preparatissimo, devi avere piena coscienza del punto preciso in cui sei della storia, devi ricordarti cosa c’è prima e cosa dopo, perché non ci sarà un pubblico e un cast a farlo con te quella sera lì. Sei da solo.
Ed è meraviglioso. Sarai irripetibile. E sarai anche la punta di un iceberg in cui puoi anche fare la scena perfetta ma se il microfonista ha inavvertitamente fatto entrare “in campo” il suo microfono, o se l’operatore di macchina e il suo aiuto hanno sbagliato un movimento, hanno perso un fuoco, o chiunque ha avuto un qualunque intoppo, la scena si rifà e quel tuo piccolo capolavoro sarà perso per sempre (come lacrime nella pioggia). Devi imparare a essere perfetto e ripetibile, per diventare imperituro. E quello, davvero, lo impari. Perché se non lo impari, poi, questo mestiere non lo fai più. E il set? Non ho ancora iniziato (continua…).
Brano ascoltato in loop mentre scrivevo: In the shadows – The Rasmus
Courtesy of Nicola Nocella (1), © Tucker Film/Fresh Production/Pilgrim Film (1)
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