“E adesso che faccio?”. Finiva così, il film più importante della mia carriera. Col mio personaggio, sul gradino più alto di un podio figurato, dopo aver vinto la sua corsa più importante, da ex pilota, con in mano il suo trofeo primario, dopo anni e anni da perdente assoluto. E adesso che faccio? era l’unica domanda che riusciva a porsi, Isidoro. Perché era l’unica credibile. Ho portato a termine il mio compito, ho vinto la corsa, e adesso? Dove la trovo un’altra sfida come questa? Lui si faceva queste domande, di spalle, senza che nessuno lo vedesse, mentre la macchina da presa si alzava e ci mostrava i Carpazi, l’Ucraina, la gente, e in mezzo a tutta quella gente, la grande solitudine di Easy. Io sono sfortunatissimo in amore, e altrettanto fortunato al gioco. Ho messo tutto sul 9 rosso ed è uscito il mio numero. E poi, a quel punto, hanno chiuso il casinò con dentro la mia vincita. Adesso sono lì, sul lago di Lugano, guardando quella meraviglia al tramonto come tante altre volte in vita mia, con un gin tonic in mano, ho visto spegnere la palla di fuoco lentamente dal Ceresio. È uscito il mio numero, ma non posso ritirare la vincita. E non è detto che la ritrovi lì, quando tornerò dentro. E sicuramente, dovrò ritrovare il tavolo, in mezzo ai mobili spostati, i croupier cambiati, i tavoli invertiti. Conchiglie e stelle, le bestemmie e il suo dolore. E adesso che faccio? No, non mi rincuora pensare che milioni di persone in Italia e miliardi di persone nel mondo stiano facendosi la mia stessa domanda. Ho elaborato un lutto dopo l’altro nell’ultimo anno e mezzo, adesso non sono letteralmente in grado di assistere a un funerale impossibile: il mio. Ho passato tutte le fasi dei miei connazionali: ho impastato, ho cucinato, ho tanto bestemmiato, ho inveito, mi sono preoccupato, ho sanificato, e ho avuto paura. Ma la paura non la combatti da solo. Per combattere la paura, non devi smettere di averne: devi sviluppare il suo nemico naturale, il coraggio. E per sviluppare coraggio ci vuole forza incredibile, soprattutto adesso. Gli antichi greci ci insegnavano che non esisti da solo. Non c’è identità, senza qualcuno che ti respiri accanto. E con le mascherine, diventa tutto più difficile. E adesso che faccio? Ho partecipato a tutte le tavole rotonde, ho letto tutti i documenti, ho pazientemente glissato sulle invettive di chi minimizzava e accusava “noi del cinema” perché chiedevamo attenzione, dimenticando che ci sono centinaia di migliaia di lavoratori, compresi quelli dell’indotto, che adesso sono a casa, sì, ma che non dormono la notte non perché stanno guardando Peaky Blinders, ma perché non hanno nemmeno diritto al contributo dello Stato. Invisibili, sono molti di loro. E quelli con visibilità dovrebbero tacere, visto che non ne hanno bisogno. Un cane che si morde la coda: che lo faccia pure, non ho più bisogno di lui per uscire di casa. E adesso che facciamo? Non lo so. Da attore penso che se il cinema mancasse a chi lo guardava almeno la metà di quanto manca a chi lo faceva, avremmo risolto un quarto dei problemi culturali della Nazione. Dall’altro mi rendo conto che tutti stanno fruendo in quantità sempre più vertiginosa di contenuti multimediali. Vecchi film, vecchie serie. Perché di nuovo, adesso, non ci sarà nulla per molto tempo. Facciamo i David a distanza, non varranno meno di quelli scorsi. Ma non varranno nemmeno di più. Normalizziamoci, pensiamo che c’è un prima e un dopo. Diversi tra di loro. E allora facciamo i David avrei festeggiato nella stessa maniera in cui l’avrei fatto due anni fa, se mi fosse successo ora. Con lo stesso discorso, uguale uguale. Continuiamo a scrivere pensando le storie. Come hanno fatto dopo Boccaccio. Che fece un capolavoro e uno solo, durante la peste. Ma lasciatemi la convinzione che, dopo tutto sto casino, saranno davvero pochi quelli che vorranno vedere sullo schermo, di nuovo, quello che hanno visto per mesi ai Tg, quello che hanno vissuto. Vorranno vedere altro, non storie su pandemie, virus e resilienze. Che dopo averla usata per anni, per moda, la parola “resilienza”, non siamo stati resilienti nemmeno a provarci. Cosa vorrete guardare? E io che caxxo ne so? So di non sapere, ma so che devo trovare una soluzione. Ho riaperto Instagram, faccio dirette, faccio letture: alterno Fabio Volo a Shakespeare, Checov alle ricette di Cannavacciuolo. Per divertirmi. Ma le striature in fondo al barile sono sempre più profonde, visto quanto sto raschiando. Cosa guarderete? Come? Come ce lo faranno fare? Davvero una sala cinematografica potrà riaprire con un terzo dei posti disponibili, sanificando dopo ogni spettacolo (costa e ci vuole tempo) e senza una reale programmazione? Quanto costerebbe un biglietto? Ne varrebbe la pena? E se non lavoro da mesi, come potrò permettermelo? La morte è una livella, diceva il più grande comico della storia, ma la pandemia è l’apoteosi della diseguaglianza sociale, dove tutti puntano a essere i maiali di Orwelliana memoria. E i maiali, alla fine, ci vanno al cinema, se non possono limonare in sala? E vanno a teatro, se non c’è nessuno che possa vedere il loro nuovo Chanel? E adesso che fanno? Non ho smesso un giorno di studiare, di scrivere, di pensare. Agire, ho agito poco. Ho passato la quarantena con due genitori nemmeno troppo anziani con libero accesso ai social in un piccolo paese della Puglia: sono certo che fosse una delle dodici fatiche di Asterix. Superata. Adesso mi aspetto di regnare su Roma, come fossi un Gallo pieno di pozione magica. Ma io sono Obelix, anche se vorrei fare Asterix. Vorrei sentire la differenza, quando prendo la pozione. Non esserne ebbro e foraggiato in maniera naturale. Riaprite i cinema, ma con costrutto. Riaprite i teatri, ma se ne vale la pena. Riaprite i set, o non servirà a nulla, ma con coscienza. Ci sono le urgenze, e proviamo a superarle. Ma non dimentichiamo mai, che viviamo di importanze. L’urgenza passerà. E resterà solo ciò che è importante. Facciamo in modo di restare, noi.
Brano ascoltato in loop mentre scrivevo: Quelli che benpensano – Frankie HI – NRG MC
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