Un tranquillo picnic di paura

Uscito nel 1975 e imitatissimo ancora oggi, Picnic ad Hanging Rock è l’inquietante fi lm che ha fatto conoscere il regista Peter Weir e ha portato il cinema australiano in tutto il mondo

Un tranquillo picnic di paura

Uscito nel 1975 e imitatissimo ancora oggi, Picnic ad Hanging Rock è l’inquietante fi lm che ha fatto conoscere il regista Peter Weir e ha portato il cinema australiano in tutto il mondo

Scritto da Joan Lindsay in appena quattro settimane, pubblicato in Australia nel 1967 dalla casa editrice di F.W. Cheshire e, in seguito al grande successo suscitato, dalla Penguin in tutto il mondo, Picnic ad Hanging Rock è un romanzo che, però, deve la sua fama all’omonimo adattamento cinematografico che ne fece Peter Weir qualche anno dopo (nel 1975) e che divenne il primo grande successo australiano su scala internazionale.

La storia, a cui il film si attiene scupolosamente, è presto detta: nel giorno di San Valentino del 1900, tre virginee studentesse dell’Appleyard College e la loro insegnante scompaiono senza lasciare alcuna traccia durante una gita ai piedi della misteriosa formazione rocciosa di Hanging Rock. Le ricerche e le conseguenti indagini sulla loro sparizione faranno emergere molti elementi inquietanti, ma non la verità, che resterà celata per tutti, anche per lo spettatore.

Prima di parlare del film, vale la pena segnalare che una soluzione del mistero esiste e si trova nel capitolo finale del romanzo, eliminato dall’editore al momento di andare in stampa e pubblicato solamente molti anni dopo, alla morte dell’autrice. Ve lo anticipo: è una lettura che sconsiglio perché aggiunge poco o nulla a quanto già raccontato e fornisce una (parziale) spiegazione ultraterrena alla vicenda, rovinando quell’atmosfera di inquietante mistero che caratterizza l’opera, indebolendola non poco. Così come vi sconsiglio l’adattamento televisivo in 6 puntate realizzato nel 2016, che allunga inutilmente il brodo rispetto al film di Weir e che banalizza tutta la grammatica del racconto. Insomma, parliamo del film.

Diretto da un Peter Weir alle primissime armi (vale la pena ricordare che sarà poi il regista di eccezionali fi lm come Un anno vissuto pericolosamente, The Witness, Mosquito Coast, L’attimo fuggente, The Truman Show, Master & Commander), la pellicola rese evidente al mondo che esisteva una cinematografia australiana e che era decisamente degna di nota. Oggi viene (giustamente) ritenuto uno dei capolavori di quell’Australian new wave che, dalla metà degli anni Settanta fino alla fine degli anni Ottanta, regalò al mondo molte straordinarie pellicole, firmate da registi poi cooptati da Hollywood.

Ma cosa rende così speciale Picnic ad Hanging Rock al punto da definirlo “un classico”? Prima di tutto, la sua atmosfera e la sua capacità di evocare inquietudini senza mai svelarle pienamente. I rapporti mai del tutto spiegati tra i personaggi, le pulsioni soppresse che li animano, i tumulti sentimentali e sessuali, le tensioni, i desideri, il conflitto e l’amore. Una sofisticatissima tela invisibile che sostiene una trama all’apparenza semplice e lineare. Poi, c’è la straordinaria intuizione di contrapporre il mondo civile, educato e irregimentato di un collegio all’inglese, con la natura australiana, oscura, selvaggia, brutale e insondabile. Infine, la maniera con cui tutto è portato in scena, interpretato, fotografato, montato e musicato.

Grazie alla decisione di avvalersi di un cast di giovanissime attrici alla loro prima esperienza e di farlo confrontare con un cast di anziani e severi professionisti, Weir riesce a contrapporre sullo schermo la spontaneità, l’innocenza e la freschezza con il rigido metodo e mestiere, creando una tensione artistica e umana di grande intensità. Alla stessa maniera, ma in maniera meno evidente, la scelta di affidarsi alla fotografia di Russell Boyd e alla sua pazza idea di mettere dei veri e propri veli (di cui uno, da sposa) davanti alla cinepresa per creare delle immagini soffuse e oniriche da contrapporre alle riprese brutali e sottoesposte della natura australiana, genera giustapposizioni dell’inconscio e cortocircuiti dello spirito che trovano eco nella storia segreta del film.

Infine, i brani di Gheorghe Zamfir usati dalla colonna sonora, con i suoi flauti stregati e panici, evocano un universo mitologico che riusciamo a percepire anche senza vederlo mai nella sua messa in scena. In sintesi, il “come” Peter Weir decide di raccontare il romanzo di Joan Lindsay si fa intimamente “cosa”, e la materia del film e la sua messa in atto pratica finiscono per sovrapporsi, creando un risultato senza uguali. Alla sua uscita nelle sale, non pochi furono i critici che, anche in maniera piuttosto aspra, lamentarono la mancanza di una soluzione del mistero, non capendo che “il mistero” è il senso del film stesso.

 

Nel corso degli anni, comunque, Picnic ad Hanging Rock diventerà prima un film di culto (adottato con amore dalla controcultura e celebrato dalla New Hollywood) e poi verrà riconosciuto per quello che, di fatto, è: una delle pellicole più dolcemente sinistre e inquietanti mai realizzate. E non è per nulla un caso se registi come David Lynch e Ari Aster (che quasi lo deprederà per realizzare il suo Midsommar) citeranno il film di Weir come uno dei loro preferiti di ogni tempo. A rivederlo oggi, il film non sembra invecchiato di un giorno (anche per il fatto che tanto cinema indipendente ne ha mutuato molti stilemi visivi) e, uscisse ancora in sala, sarebbe indicato come il migliore degli elevated horror.

Tre motivi per definirlo un classico:

  • La freschezza e la naturalezza del suo linguaggio visivo
  • La capacità di evocare un mistero e un orrore vasti come il cosmo e profondi come l’animo umano, usando pochi elementi e senza svelare nulla.
  • L’incredibile tensione che è capace di suscitare, usando pochissimi

© Shutterstock (1), British Empire Films Australia, The South Australian Film Corporation, The Australian Film Commission (3)

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