Strano a dirsi, oggi, ma c’è stato un tempo in cui nessuno si aspettava nulla da James Cameron.
Nato nel 1954 a Kapuskasing, in Ontario (uno di quegli stati canadesi che conosciamo solo grazie al tabellone del Risiko), James Francis Cameron ha una carriera scolastica mediocre e si impiega presto come camionista, fino a quando, nel 1977, va al cinema, vede Guerre stellari e decide che quello sarà il suo futuro. Quattro anni dopo si produce un piccolissimo film indipendente (pagato con i soldi di una associazione di dentisti). Intitolato Xenogenesis, è una pellicola praticamente amatoriale che però impressiona Roger Corman, il quale lo vuole nella sua factory. Qui il futuro regista di Avatar fa un po’ di tutto: dall’assistente allo sceneggiatore, dalla seconda unità dietro alla camera allo scenografo. In questa fase, Cameron si distingue in vari campi: è molto dotato nel disegno (sia artistico che industriale), ha un buon occhio, è capace di risolvere i problemi di un film con l’ingegno, sa scrivere. Ma è un totale outsider per Hollywood e il suo destino sembra essere quello di un tecnico per produzioni a basso budget. Non a caso viene coinvolto nella direzione degli effetti speciali di Piranha (1978) e di Piraña paura (1982).
Colpo di fortuna, il sequel del film sui pesci carnivori perde il suo regista designato e Cameron lo eredita quasi per caso. Non ne esce un buon film, ma le colpe dell’autore canadese sono molto limitate, sia per le condizioni in cui è costretto a lavorare, sia perché la pellicola è largamente manomessa dal produttore. La carriera di Cameron come regista sembra a un punto morto, ma abbiamo detto che sa anche scrivere, giusto? E, infatti, si mette a scrivere.
La sua prima sceneggiatura è un film piccolo, di fantascienza, che desta l’interesse di un personaggio improbabile: Mister Universo, il futuro governatore della California Arnold Schwarzenegger. In quel periodo il culturista sta iniziando a essere corteggiato da Hollywood e il suo interesse per il progetto di Cameron fa apparire il nome del regista su parecchi radar. Così, mentre Terminator comincia a prendere forma, James riceve qualche incarico di scrittura. Ora, c’è una cosa che bisogna capire: il sequel di un film, oggi, è parte di un discorso organico legato allo sviluppo di una proprietà intellettuale. Si crea un’opera commerciale con l’intenzione dichiarata di poterla espandere in mille maniere diverse, in caso di successo.
Negli anni Ottanta, no: i sequel erano un’idea che emergeva solo in un secondo momento, una maniera facile per “mungere la mucca” di qualcosa andato bene. Realizzare un sequel, in quegli anni, non era un lavoro prestigioso. Quindi, quando a Cameron arrivano gli incarichi di sceneggiare tanto il seguito di First Blood (Rambo), quanto di Alien, non è perché Hollywood veda in lui un grande talento e una promessa del cinema. Anzi, è tutto il contrario. In quel momento, Hollywood lo valuta come un onesto mestierante a cui si possono affidare lavori commerciali senza alcuna pretesa artistica. Forse Cameron questa cosa un poco la avverte, perché nello scrivere i due film, non è che ci metta tutto se stesso. Anzi, a dirla per come è, di film ne scrive uno solo. Poi cambia le ambientazioni e qualche dettaglio e consegna il lavoro ai rispettivi committenti.
La sceneggiatura di Rambo 2 – La vendetta viene in parte rivista da Stallone, che la semplifica e la scorcia; quella del seguito di Alien (Aliens – Scontro finale) resta praticamente identica. E a Cameron quello script piace abbastanza, ci vede del potenziale. Al punto che, forte ormai del discreto successo di Terminator, quando nessuno vuole girarlo, accetta di dirigerlo lui stesso. Tra il 1985 e il 1986, Rambo 2 e Aliens raggiungono le sale e sono degli straordinari successi di pubblico. La critica, però, esalta solo il secondo. Perché? Perché il secondo è diretto da James Cameron.
Ora, a vederli di seguito, è lampante che i due film siano largamente sovrapponibili: stesse premesse narrative, stessa missione, stessa struttura, stesso andamento drammatico. Ci sono persino le stesse scene (come quella della “vestizione del torero”, comune tanto a John Rambo quanto a Ellen Ripley). Ciò che fa la differenza (oltre allo sviluppo dei personaggi e alla raffinatezza di scrittura) è che George P. Cosmatos, il regista di Rambo 2, è un autore dalla grammatica vecchia e dall’occhio stanco, incapace di valorizzare i 25 milioni di dollari di budget a disposizione. E oggi la sua opera (che pure ha fatto epoca) sembra un film a basso costo degli anni Settanta, per come è girata l’azione e per una certa sciatteria della messa in scena. Aliens, al contrario, pur potendo contare solo su 15 milioni di dollari, ci appare ancora come un blockbuster modernissimo, visionario e spettacolare, con un ritmo forsennato e una gran messa in scena.
Il merito è dei molteplici talenti di James Cameron, che si è impiegato praticamente in qualsiasi reparto della produzione, disegnando, costruendo, dirigendo e montando un capolavoro senza tempo. Nella sua filmografia ci sono film di maggior successo e più significativi di Aliens, ma è in Aliens che capiamo meglio lo sconfinato talento di quel moderno Leonardo Da Vinci che è James Cameron.
3 MOTIVI PER DEFINIRE ALIENS UN CLASSICO
– ridefinisce il concetto di sequel, portandolo nell’era moderna.
– si confronta, senza paura, con un capolavoro, uscendone a testa alta, omaggiandolo ma anche reinventandolo, e trovando un’identità propria.
– la ricchezza visiva, gli effetti speciali al servizio della storia e delle interpretazioni, lo straordinario ritmo, e una serie di linee di dialogo che sono entrate nell’immaginario collettivo.
© Twentieth Century Fox, Brandywine Productions, Pinewood Studios (2); Carolco Pictures, Estudios Churubusco Azteca S.A., Anabasis N.V. (1)
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