Parlare oggi di Il Padrino, capolavoro di Francis Ford Coppola del 1972, e farlo con gli occhi freschi, è complicato. Perché, oggi, Il Padrino ha la statura di un grande acclarato colossal hollywoodiano, diretto da un maestro, fotografato da un genio, musicato da un talento irripetibile, montato da due luminari e interpretato da divi dal talento sconfinato. Un classico, insomma.
La definizione stessa di “grande cinema”. Ma quando la pellicola è uscita, le cose non stavano proprio così. Partiamo dall’inizio, cioè dal libro di Puzo, che diventa tale solamente grazie all’interesse che la Paramount dimostra nei confronti di un trattamento di sessanta pagine per un film che Puzo ha inviato ai loro uffici. Trovato un modesto accordo economico (Puzo ha un disperato bisogno di soldi e accetta un’offerta contro il volere del suo agente), la Paramount ottiene i diritti cinematografici del testo, una volta che sarà completato, e affida allo scrittore la stesura dello script.
Nove milioni di copie vendute dopo, la Paramount si ritrova per le mani la possibilità di fare un adattamento filmico del romanzo per cui è stata creata la definizione “best seller”. Adesso ci vuole un regista e la produzione è convinta che ne serva uno italoamericano, per restare vicini al cuore del racconto. Di grossi registi italoamericani disponibili però non ce ne sono. Allora ci si rivolge a un italiano e basta, Sergio Leone, che declina l’offerta perché anche lui sta sviluppando un film sulla mafia e vuole girare quello, non Il Padrino.
Spunta fuori il nome di Francis Ford Coppola. Chi è? Uno dei tanti laureati alla UCLA che in quel periodo si erano messi in testa di innovare il cinema americano, contaminandolo con quello europeo. Coppola ha iniziato dal basso, facendo da galoppino a Roger Corman (che gli ha pure permesso di girare un paio di minuscoli film a basso costo, il dimenticabile Tonight for Sure, 1962, e Terrore alla 13a ora, 1963, poi diventato un piccolo horror di culto). Successivamente ha iniziato a lavorare con le major ed è finito dietro alla macchina da presa di tre titoli molto diversi: Buttati Bernardo! (film che nel 1966 riscuote un discreto successo di pubblico, ma viene molto apprezzato dalla critica), Sulle ali dell’arcobaleno (musical crepuscolare del 1968 che non incontra i favori del pubblico) e Non torno a casa stasera, un anomalo road movie molto vicino ai temi della controcultura, con cui Coppola – e siamo nel 1969 – inizia a definire la sua idea politica di produzione cinematografica (in sostanza, è qui che nasce la Zoetrope).
Il colpo davvero grosso lo fa, però, con la scrittura, grazie a Patton, che gli vale il suo primo Oscar (per una sceneggiatura originale).
Quello di Coppola, quindi, è un nome grosso? No. Ma è un nome caldo, essendo l’esponente più maturo e di maggiore esperienza di quella “New Hollywood” che sta iniziando ad affacciarsi sulla scena (assieme a Coppola ci sono i suoi compagni di merende: Steven Spielberg, Martin Scorsese, John Milius, Philip Kaufman e, ovviamente, George Lucas). E poi, costa poco. Solo che Coppola, Il Padrino, non lo vuole girare perché è troppo preso con il lancio di L’uomo che fuggì dal futuro, film da lui prodotto ma diretto dal futuro papà di Guerre stellari.
La pellicola va malissimo, Coppola ha bisogno di soldi e, a quel punto, accetta il lavoro che gli offre la Paramount. Tutto è bene quello che finisce bene? Macché. Da quel momento in poi, iniziano le battaglie per il cast.
Coppola vuole il problematico Marlon Brando e, accanto a lui, tutta una serie di sconosciuti o di attori ben poco noti, gente come Al Pacino, Robert Duvall, Diane Keaton, Talia Shire. La produzione non vuole nessuno di loro e l’unico nome su cui tutti si trovano d’accordo è James Caan. Seguono settimane d’inferno in cui Coppola viene licenziato più volte ma, alla fine, la spunta e ottiene il cast da lui desiderato, compreso Brando (che però ha dovuto firmare un contratto in cui si impegna a comportarsi bene).
E la fotografia a chi affidarla? Gordon Willis, che all’epoca non è ancora un nome, dice Coppola. Ma nemmeno lui vuole fare Il Padrino perché non si fida del regista e ritiene che il suo metodo di lavoro sia troppo caotico. Anche lui viene convinto a forza e dalla necessità.
Al montaggio, tra mille dubbi, arriva un uomo di enorme esperienza come William Reynolds e alle musiche, direttamente dall’Italia e dai set di Fellini (tra i molti), Nino Rota. Il film ha un budget di due milioni e mezzo, ma Coppola lo fa salire fino a sette milioni e il risultato finale non piace per niente alla Paramount, che ormai si aspetta il disastro.
Ma il libro, intanto, ha macinato i milioni di copie vendute di cui parlavamo all’inizio: tutti vogliono vedere il film! In poco tempo, la pellicola di Coppola diventa uno stratosferico successo commerciale e di critica.
A rivederlo oggi, sembra un film scritto nelle stelle (e dalle stelle che lo hanno realizzato) ma, nei giorni della sua uscita, era una pellicola pazza, pericolosa, dall’approccio registico e attoriale inedito, un film pienamente autoriale ma costoso come una pellicola commerciale, che riscriveva per sempre l’idea stessa di cosa fosse il linguaggio cinematografico americano. Il Padrino nasce quasi per caso, diventa un caso, e oggi, è la rappresentazione più pura del cinema stesso.
3 motivi per definirlo un classico
– la ricercata e, allo stesso tempo, sfrenata regia di Coppola, capace di unire Zeffirelli a Ben Hur
– le straordinarie interpretazioni di tutto il cast attoriale.
– la colonna sonora di Nino Rota
© Paramount Pictures, Albert S. Ruddy Productions, Alfran Productions
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