Mia Wasikowska: «Ho imparato come rispondere alla paura»

L'occasione è stata Tracks - Attraverso il deserto, il film che ripercorre le orme di Robyn Davidson e che l'attrice ha presentato alla scorsa Mostra di Venezia. Ecco cosa ci ha raccontato dell'esperienza, della vita e del futuro...

Mia Wasikowska: «Ho imparato come rispondere alla paura»

L'occasione è stata Tracks - Attraverso il deserto, il film che ripercorre le orme di Robyn Davidson e che l'attrice ha presentato alla scorsa Mostra di Venezia. Ecco cosa ci ha raccontato dell'esperienza, della vita e del futuro...

Temeraria e “ruvida” sullo schermo, timida e delicata nella vita. Mia Wasikowska è così: una bellezza acqua e sapone che nella finzione sa calarsi in vite altrui con estrema facilità. Merito di un talento innato, scoperto da Tim Burton, che nel 2010 le affidò il ruolo da protagonista nel suo Alice in Wonderland, spalancandole le porte di Hollywood. Da allora Mia ha posato davanti all’obiettivo di grandi registi (tra gli altri, Gus Van Sant, Park Chan-wook, John Hillcoat e Jim Jarmusch), calcato i red carpet dei festival internazionali (è stata a Cannes con Restless, Lawless, Only Lovers Left Alive e sfilerà sulla Croisette anche quest’anno grazie a Maps to the Stars di David Cronenberg, dove recita accanto a Robert Pattinson) e raggiunto una popolarità insolita per una 25enne. Una sorpresa continua anche per lei, che nonostante tutto è rimasta ancorata alla sua terra d’origine (l’Australia) e alla sua famiglia, come lei stessa ci ha confessato. L’abbiamo incontrata in occasione dell’uscita (il 30 aprile) di Tracks – Attraverso il deserto, il film che ha presentato alla scorsa Mostra di Venezia; storia vera di Robyn Davidson, che nel 1977 percorse 3000 chilometri a piedi nel deserto australiano, da Alice Springs all’Oceano in compagnia del cane Diggity e di quattro cammelli.

Best Movie: Cosa ti ha colpito di Robyn?
Mia Wasikowska: «La sua mancanza di paura, unita al desiderio di affrontare e superare qualsiasi difficoltà da sola, senza sfruttare o lasciarsi sfruttare dalle altre persone. La devo ringraziare, perché da adesso in poi risponderò all’angoscia e al dolore come ha fatto lei».

BM: Tu riusciresti mai a isolarti dal mondo per novi mesi, rinunciando a Facebook, Twitter e Internet?
MW: «Sì, anche perché non uso i social network! Non è questo a spaventarmi; piuttosto l’idea della solitudine, specie quando sconfina nell’isolamento. Mi piacerebbe intraprendere un viaggio del genere, ma non credo che lo farò mai. Il mio agente non sarebbe d’accordo!». (ride)

BM: Come mai una persona decide di compiere un’impresa così densa di difficoltà?
MW: «Molta gente se l’è chiesto. Per me è naturale che uno a un certo punto voglia allontanarsi dalla società civilizzata e cercare un’esperienza intima, forte, che metta alla prova l’istinto di sopravvivenza».

BM: Com’è stato lavorare con i cammelli?
MW: «Molto più semplice del previsto, perché sono molto ubbidienti. Certo, all’inizio ero un po’ spaventata per la loro dimensione e per i versi che emettono. Poi ho imparato a capirli, perché anche loro – come noi – sono molto emotivi».

BM: Quindi non avete usato effetti speciali con loro?
MW: «No, assolutamente».

BM: So che eri terrorizzata all’idea di incontrare la Davidson.
MW: «Sì, temevo il suo giudizio rispetto alla mia interpretazione. In realtà, è stata sempre gentile e disponibile con me e con il resto della troupe. Ha sempre guardato positivamente al nostro progetto, consapevole che sarebbe stato una libera traduzione del suo viaggio e del suo libro, e dunque avrebbe avuto una sua fisionomia».

BM: Le hai chiesto consigli durante le riprese?
MW: «Sì, ma stranamente le mie domande non avevano mai niente a che fare con il suo viaggio. Abbiamo passato molto tempo a chiacchierare e a conoscerci per il piacere di farlo».

BM: Credi che Robyn fosse libera o intrappolata in questo suo progetto?
MW: «Quando lei trova la libertà fisica, non necessariamente trova anche quella emotiva».

BM: Qual è stata la più grande sfida di questo film?
MW: «È stato un gran lavoro fisico. Quando giri in location come il deserto, c’è sempre qualcosa che sfugge al tuo controllo, vedi gli agenti atmosferici o la conformazione del territorio: il caldo, la polvere, la luce. Il che è meraviglioso se hai molto tempo a disposizione, ma quando devi rispettare una schedule precisa talvolta diventa estenuante».

BM: Non ti spaventava l’idea di dover reggere la pellicola praticamente da sola, e spesso senza parlare?
MW: «Certo quando ci sono molti dialoghi è più facile, perché non devi pensare troppo ma solo trovare il modo giusto per recitare le battute. I silenzi, invece, sono più difficili da gestire, perché devi lavorare molto con il corpo per riuscire a esprimere le sensazioni del personaggio. Quindi da parte di un attore è uno sforzo maggiore».

BM: È vero che dopo aver girato Tracks hai deciso di rimanere a vivere in Australia definitivamente?
MW: «Più che altro ho capito che avevo bisogno di uno spazio tutto mio. Prima vivevo a casa dei miei genitori, ora invece ho una casa mia a Sidney. Ed è bello, anche perché vivo abbastanza in incognito, la gente non mi ferma per strada».

BM: Cosa mi dici del tuo viaggio d’attrice?
MW: «Mi sento estremamente fortunata e mi piace sperimentare continuamente cose diverse; soprattutto, adoro il fatto che questo mestiere mi permette di viaggiare, raggiungere posti che mai nella vita avrei occasione di esplorare (come il deserto). Mai avrei pensato di lavorare con i cammelli!».

BM: Mi sembra che tu sia attratta da personaggi che sfuggono alla società. Oltre a Robyn, penso alla Annabel di Restless o alla India di Stoker.
MW: «Sì, è vero… Tendenzialmente sono anche personaggi forti, donne che hanno qualcosa da dire».

BM: Tu ti sei mai sentita un’emarginata o comunque distante dalla società?
MW: «Ci sono state situazioni nella mia vita dove mi sono sentita esclusa: a scuola, o quando ho iniziato a viaggiare per lavoro, spesso da sola».

BM: Pensi che anche nel tuo mestiere ci siano delle disparità tra uomini e donne?
MW: «L’atto di Robyn a suo tempo è stato un gesto rivoluzionario, proprio perché era una donna. Sì, credo che oggi ci sia una diversa attitudine verso attrici e attori. Se un attore arriva in ritardo sul set o è scontroso o lunatico si tende a giustificarlo, per un’attrice non è così».

BM: Be’, Lindsay Lohan lo può fare.
MW: (ride) «Diciamo che ci sono persone che se lo possono permettere! In generale comunque le attrici sono sempre più bersagliate».

BM: Tra i tuoi progetti futuri c’è un biopic su Emma Bovary e già altre volte hai portato sullo schermo personaggi letterari. Ti piace leggere?
MW: «Amo leggere! Non cerco appositamente ruoli di questo tipo, ma quando capita l’occasione e sono realmente interessata, faccio di tutto per ottenerli».

BM: Emma è un’eroina difficile da interpretare.
MW: «Assolutamente. Al contrario di Jane Eyre, che riscuote maggior consenso, lei è così radicale che o la si ama o la si odia. Alcuni pensano che sia superficiale, altri che sia tragica, ognuno ha reazioni differenti ed è bello poter interpretare un personaggio così controverso e non ovvio. A me personalmente piace moltissimo. Ne parlavo giusto l’altro ieri con il regista; credo che ognuno abbia un po’ di Emma Bovary in sé».

BM: Parlando di Jane Eyre, quando Meryl Streep ha ricevuto l’Oscar per The Iron Lady, nel suo discorso ha dichiarato che si erano dimenticati della tua performance in Jane Eyre, appunto.
MW: «È stata adorabile. Ero in Australia e alcuni amici hanno iniziato a mandarmi mail dicendomi che lei stava parlando di me. Ero emozionata e incredula».

BM: Il 21 maggio esce nei cinema Maps to the Stars di David Cronenberg. Che esperienza è stata?
MW: «Incredibile! A dispetto delle apparenze, David è una persona adorabile. Non è stato facile affrontare il film, perché inizialmente ero molto confusa, ma lui mi ha guidato passo a passo».

BM: E grazie a lui hai baciato Robert Pattinson!
MW: «Eh sì! È una pellicola molto interessante; un racconto, un commento delle logiche perverse su cui si reggono Hollywood e la società dell’immagine».

BM: Con che registi ti piacerebbe lavorare?
MW: «Michael Haneke, su tutti. Ho amato La pianista e Il nastro bianco; ogni suo film è diverso dagli altri, propone sempre prospettive nuove ed è potente dal punto di vista visivo. E poi vorrei essere diretta da Jane Campion».

(Foto: Getty Images)

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