Sia messo agli atti: non sono una fanatica del genere fantasy. Non sono nemmeno rimasta folgorata da Il Signore degli Anelli, che conquistava la mia generazione negli allora appena inaugurati UCI Cinemas con le vasche di pop corn sulle ginocchia. Però ho amato alla follia Game of Thrones che, con il suo mix tra tattiche militari, arguzia politica, riferimenti medievali e ferocia, mi ha fatta innamorare dei draghi. E, come molti altri fan della saga, soffrivo di astinenza: non vedevo l’ora di reimmergermi in una storia lontana ma vicina, con personaggi da tatuarmi nel cervello. Ed è per questo che non appena ho sentito parlare di La ruota del tempo mi sono fiondata a vederla. La serie è tratta dai romanzi di Robert Jordan, pubblicati dal 1990, le cui vicende sono state portate a termine, negli ultimi tre libri di quattordici, da Brandon Sanderson, amico dell’autore che si è basato sui suoi appunti per chiudere il cerchio, anzi… la ruota. La storia contiene un universo narrativo piuttosto vasto che gira attorno alle Aes Sedai (che sono un po’ come le Bene Gesserit di Dune… anche per il nome impronunciabile), ovvero donne in grado di controllare il potere che è alla
base dei movimenti del mondo. Ed è incentrata in particolare su una di loro, Moraine, interpretata dalla meravigliosa Rosamund Pike, a cui è affidato il racconto della vicenda: alla fine della seconda Era un uomo che era riuscito a incanalare il potere (ed era chiamato Drago), aveva causato la fine del mondo, facendo scoppiare guerre e tragedie. Ora, che siamo nella Terza Era, si preannuncia la salvezza grazie al Drago Rinato che è un ragazzo sui vent’anni che Moraine vuole identificare. Ed è così che la Aes Sedai raggiunge un villaggio di gente umile in cui vivono quattro ipotetici draghi (tre ragazzi e una ragazza). Da qui inizia un viaggio tra terre e mondi, inseguiti da terribili Trolloc, il braccio armato dell’orrido Tenebroso che vuole far sprofondare l’universo nel Male. Io non ho letto i romanzi (anche con Il trono di spade ho visto prima la serie e poi recuperato i tomi di Martin), ma studiando i blog di appassionati online, scopro che le più grandi differenze con la serie sono legate a un giusto evolversi del modo di raccontare storie. Nei romanzi non era prevista Egwene (l’unica ragazza) tra i papabili prescelti, che sono solo tre e sono tutti maschi. La serie poi segue i criteri inclusivi di Bridgerton, inserendo nel cast attori di etnie e origini diverse (a differenza dei romanzi dove era “tutto bianco”). Fatte tutte queste premesse (aggiungendo il fatto che al momento in cui scrivo ho visto solo cinque puntate, perché Prime Video le diffonde settimanalmente) alla domanda: La ruota del tempo ha soddisfatto la tua astinenza? La risposta purtroppo sta in quella via di mezzo.
La storia funziona, i personaggi sono ben sviluppati, ma non c’è quel guizzo, non c’è quella sensazione di novità. Sembra tutto un po’ già visto, a tratti vintage. Ma non quel vintage che grazie a una buona rivisitazione dell’outfit risuona cool, quel vintage che sembra semplicemente “una copia di mille riassunti”.
Insomma, fuor di metafore: è una serie che continuerò a guardare, che mi sta divertendo, ma non appassionando. Confido di venire stupita nelle puntate future.
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