La finestra sul cortile

La finestra sul cortile

Mentre scrivo questo pezzo sono a casa, sul divano, con una gamba ingessata. Ne avrò ancora per qualche settimana e immagino che questo abbia influenzato la scelta del film di cui vi parlerò questo mese. Basato su un breve racconto di Cornell Woorich, trasformato in una sceneggiatura da Michael Hayes, La finestra sul cortile (Rear Window è il titolo originale) è il quarantaduesimo film di Alfred Hitchcock ed è giustamente ritenuto uno dei migliori film di tutti i tempi. Data la particolare natura della storia il cast attoriale è ridotto all’osso e composto da James Stewart, Grace Kelly, Wendell Corey, la straordinaria Thelma Ritter e Raymond Burr (qualche anno prima di diventare universalmente noto per Perry Mason e Ironside). Alla fotografia abbiamo Robert Burk mentre al montaggio c’è George Tommasini, due collaboratori di Hitchcock di lunghissima data. Musiche (meravigliose) di Franz Waxman.

Il film esce nel 1954, ottiene buoni incassi al botteghino e viene giudicato dalla critica del tempo come di “ottimo intrattenimento” ma anche “superficiale”. Del resto, come noto, il vecchio Zio Hitch dovrà aspettare quei ragazzacci francesi dei Cahiers du Cinéma per vedersi riconosciuto lo status di maestro del cinema che ha sempre meritato. La trama del film in brevissimo: James Stewart è un fotografo di guerra infortunatosi durante un servizio, costretto in casa e annoiato. Per questo motivo passa tutta la sua giornata alla finestra, spiando i vicini, fino a quando non vede qualcosa di strano e comincia a sospettare che, sotto i suoi occhi, sia avvenuto un omicidio. Il resto è tutto affidato ad uno script molto semplice e pulito, lineare quasi, e alla capacità di Hitchcock di saper costruire (e mantenere) la tensione con pochissimi elementi. Verrebbe quasi da dire che il film risponde a quel tipo di esercizio-sfida che gli autori molto bravi amano affrontare.

Riuscirò a fare un film che racconta solamente la storia di un camion che insegue un’automobile? Sarò capace di tenere in piedi la storia di una donna legata al letto per tutto il tempo del mio racconto? Potrò sostenere il peso di una pellicola che racconta le vicende di un tipo con un piede incastrato in una buca? Ecco, anche fosse solo questo, La finestra sul cortile sarebbe un capolavoro del segmento e un apripista per tanti altri film similari… Ma, in realtà, Rear Window è parecchio di più.

Avendo come protagonista un osservatore immobile e impossibilitato a influenzare gli avvenimenti che accadono sotto ai suoi occhi, Hitchcock prende immediatamente la palla al balzo per dare vita a una riflessione sul ruolo di chi guarda, chiudendo un impossibile cortocircuito tra il ruolo del regista (che rappresenta il narratore onniscente, l’occhio extradiegetico), il protagonista della pellicola (che è l’incarnazione del raccontato, l’occhio diegetico sulla narrazione) e lo spettatore (l’osservatore esterno), fondendo questi tre ruoli, tradizionalmente separati, in una sola entità, portandosi a casa un film che oltre a essere un meraviglioso thriller (“di ottimo intrattenimento”, ricordiamolo), incarna di fatto anche una raffinata analisi delle tecniche del racconto cinematografico. Insomma, non è un caso che la pellicola si apra con una soggettiva, l’unica inquadratura nel linguaggio del cinema capace di unire il punto vista del regista, quello del personaggio e quello del pubblico. Come non è per nulla un caso che lo spettatore sappia (e, soprattutto, veda) esclusivamente quello che anche il protagonista riesce a vedere dal suo punto di osservazione estremamente limitato.

Hitchcock, a un certo punto della storia, avrebbe la possibilità di uscire dalla stanza di James Stewart e seguire da vicino gli altri protagonisti della vicenda ma non lo fa. Quello che il fotografo non può vedere, non viene mai raccontato, e in questa omissione c’è tutto il segreto della tensione che la pellicola sa suscitare ma anche una precisa riflessione su quello che il cinema dovrebbe o non dovrebbe mostrare, per poter funzionare.

In La finestra sul cortile elementi architettonici come muri e finestre assumono la stessa valenza dei tagli dell’inquadratura e del montaggio, e il mondo delle “cose reali” smette di essere oggetto del racconto e diventa strumento del racconto, grammatica dello stesso. Una lezione di cinema, consapevole (e un poco compiaciuta, ammettiamolo) che Hitchcock impartisce con grande intelligenza e sobrietà ma che è chiara, evidente e innegabile perché è proprio sotto i nostri occhi. E se lo vediamo, vuol dire che è vero. O forse, no?

Tre motivi per definirlo un classico

  • Perché è uno dei migliori film di Alfred Hitchcock e tutti i migliori film di Alfred Hitchock sono dei classici. A dire il vero, anche i film di livello medio sono dei classici. E se ci pensate bene, anche quelli meno riusciti lo sono.
  • Per la straordinaria capacità di unire molteplici livelli di lettura e di essere eccezionale in ognuno di essi.
  • I completi di Grace Kelly, le facce di James Stewart e le battute di Thelma Ritter

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