Il sorpasso

Il film di Dino Risi, oltre a rimanere una delle migliori commedie all’italiana, è stato il precursore di quelli che oggi chiamiamo road movie

Il sorpasso

Il film di Dino Risi, oltre a rimanere una delle migliori commedie all’italiana, è stato il precursore di quelli che oggi chiamiamo road movie

04Un paio di mesi fa, nello scrivere di À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro) di Jean-Luc Godard, film del 1960 e capolavoro riconosciuto della Nouvelle Vague, il pensiero mi è volato su Il sorpasso, film del 1962, diretto da Dino Risi, anche questo riconosciuto come un capolavoro ma di quella che viene definita come “commedia all’Italiana”. In particolare, mi sono soffermato sui punti di contatto di due opere all’apparenza così distanti nelle intenzioni e nella forma. Se, infatti, Fino all’ultimo respiro è un tentativo (riuscitissimo) di scardinare il linguaggio cinematografico convenzionale per approdare a una forma nuova, operato da quello che era allora un giovane filmmaker mosso da una spinta programmatica e iconoclasta, Il sorpasso appare sulla carta come la migliore opera di un regista talentuoso ma di mestiere, capace di trascendere le convenzioni del suo genere di appartenenza ma che a quel genere di appartenenza può comunque essere ricondotta. In sostanza sì, bello (anzi, bellissimo) ma non dirompente, innovatore o eversivo. Non così rilevante per il suo “come” quanto più per il suo “cosa”, dove il “cosa” è la spietata metafora della società italiana e del suo destino che viene portata in scena.

E io credo che così ragionando si faccia un torto a Dino Risi e al suo film. Certo, i più grandi meriti de Il sorpasso sono sicuramente da ascrivere alla lucidità quasi profetica con cui racconta il suo presente e pronostica il nostro futuro, alla maniera sottile (ma perfettamente efficace e comprensibile per chiunque) in cui trasforma in simboli e metafore tutti i vari elementi della storia, riuscendo comunque a mantenerli vivi e attinenti al reale, alle straordinarie prove attoriali, a quel tocco leggero che lo pervade, a certe battute fulminanti e a quel finale che rimane ancora oggi un pugno nello stomaco… Ma tutti questi meriti fanno parte del DNA della migliore commedia all’italiana e pure se ne Il sorpasso sono portati a nuovi vertici, non rappresentano degli elementi innovativi o rivoluzionari per il cinema italiano. La forma de Il sorpasso, invece, lo è.

Partiamo da un punto importante: Il sorpasso è il primo road movie italiano. Anzi, a dirla tutta, anticipa di qualche anno quello che è il road movie americano per eccellenza, Easy Rider, di quel Dennis Hopper che più volte ha parlato del film di Risi come una delle fonti ispiratrici fondamentali per il suo capolavoro. E con i classici road movie, oltre che i tanti stilemi narrativi, Il sorpasso condivide una grammatica del racconto errabonda, fatta di attimi, di storie che non vediamo come iniziano e non sapremo come finiranno, perché la strada ci chiama e noi, ineluttabilmente, torniamo a lei. Frammenti che presi da soli potrebbero non significare nulla ma che, quando iscritti nel quadro completo della narrazione, costruiscono il senso e il tema del film. Ma, e qui torniamo a Godard e al suo capolavoro, Il sorpasso è un film fatto prima di tutto di movimento: quello fisico dei suoi protagonisti e della loro automobile, quello spaziale della macchina da presa, quello di senso della moviola e, infine, il movimento cerebrale delle idee, che nel susseguirsi di dialoghi e pensieri si inseguono e vengono inseguite, come fossero in un circuito da corsa, e ci riportano sempre al punto di partenza.

Come in À bout de souffle, tutto si muove nel film di Dino Risi per non arrivare mai da nessuna parte e quando il circolo vizioso viene spezzato, qualcuno muore e il film finisce. Alla luce di queste riflessioni oziose mi viene da dire che sarebbe bello provare a immaginare Il sorpasso non tanto sul podio della commedia all’italiana (podio di assoluto prestigio, non lo metto in dubbio, ma dalla portata limitata) ma su quello del grande cinema autoriale mondiale tutto, per capirne appieno la straordinaria rilevanza, sua e del suo regista.

3 Motivi per definirlo un classico

– La regia e la scrittura, sottilmente eversiva, di Dino Risi

– Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant

– Il suono di quel maledetto clacson

Credit foto

©Getty

© RIPRODUZIONE RISERVATA
shortcode