Il mondo in fiamme: la recensione di Daredevil

Abbiamo visto la serie Marvel/Netflix sul Diavolo rosso di Hell's Kitchen: ecco cosa ne pensiamo

Il mondo in fiamme: la recensione di Daredevil

Abbiamo visto la serie Marvel/Netflix sul Diavolo rosso di Hell's Kitchen: ecco cosa ne pensiamo

Un vigilante cieco che “vede” il mondo come se fosse avvolto da fiamme, soprannominato the Devil of Hell’s Kitchen, è il protagonista della più recente serie di Netflix. Il supereroe Marvel non si presenta come un demonio in costume ma sin dal pilota (anzi dalla sigla, tutta in rosso cremisi) si ha la sensazione che la New York dove vive sia un inferno – di corruzione, di criminalità, di violenza. Tuttavia per Matt Murdoch – avvocato, figlio di un pugile più masochista di Rocky Joe e l’uomo sotto la maschera di Daredevil – quello è il posto più bello del mondo; è un inferno ma è suo, è la “sua” città, come ripetono ossessivamente altri vigilante di Marvel e DC quali Batman e Arrow. Netflix sforna la serie di supereroi – nettamente superiore a Gotham come crime noir poliziesco e ad Arrow come parabola del vigilante – più bella del panorama recente, affidando al Drew Goddard (protetto di Joss Whedon) di Quella casa nel bosco e Lost e allo Steven DeKnight di Spartacus (che per fortuna trattiene la sua fissa per la slow motion nelle scene di combattimento, la prima arriva dopo metà stagione) la redini dello show. Il risultato – grazie anche alla concezione delle serie di Netflix, per la quale una stagione di 10-13 puntate è concepita come un film di 13 ore – è un romanzo (di formazione) in capitoli. Non ci sono veri e propri episodi filler, non c’è la trita struttura da network dove il pilot è un’esca per acchiappare fondi e spettatori: il passato di Matt e quello del villain Fisk, la spiegazione delle origini del supereroe e dei suoi poteri, i dettagli del suo training sono elargiti al pubblico con dosata maestria. Daredevil parte con una sigla liquida, simbolica, e molto simile a quella di Hannibal, immerge lo spettatore in atmosfere (girate in altissima definizione, la serie su Netflix è fruibile anche in Ultra HD) buie squarciate da colori caldi che diventano acidi – il giallo diventa verde, il rosso viola – irritanti, abbacinanti: la fotografia, ultrarealista, è spettacolare, come lo sono montaggio, regia e coreografia: memorabile il piano sequenza alla fine del secondo episodio, con la mdp che si muove nel corridoio strettissimo dove si perpetra una massacrante fight scene, eccezionali le coreografie dei combattimenti  – duro, doloroso ed efficace lo stile di Daredevil tra pugilato, capoeira e parkour, motlo simile a quello che usa Captain America in The Winter Soldier. L’alta qualità tecnica supporta una narrazione che svela e descrive i suoi personaggi con forza e delicatezza: sopra tutti, Wilson Fisk, mastodontico criminale governato dalle emozioni e da scatti d’ira violenti e incontenibili (tanto da staccare la testa di un poveretto a colpi di portiera della macchina) interpretato da un rinato Vincent D’Onofrio; la sua relazione sentimentale con la bellissima e algida Vanessa è tra le relazioni più belle e romantiche della tv. Bravo anche il protagonista Charlie Cox, ossessivo e tormentato come il Bruce Wayne di DC, che ci fa dimenticare l’anonima performance nell’orribile Stardust di Neil Gaiman. Guest di un paio di episodi Scott Glenn, nei panni dello spietato (nei fumetti è peggio), sarcastico e anaffettivo mentore di Daredevil, talmente azzeccato che sembra staccarsi letteralmente dalle pagine del comics. Daredevil abbonda in citazioni e riferimenti alla fonte – dall’orfanotrofio di S. Agnes dove sono cresciuti sia Matt che la Skye di Agents of Shield, al simbolo sulle dosi di eroina che evoca Steel Serpent, alla presenza di Claire (nei comics interesse romantico di Luke Cage, che vedremo nella prossima serie Netflix), alla menzione di Elektra (l’assassina amata/amante di Daredevil) – favorendo le storie e i personaggi di Frank Miller. Dopo una stagione da fruire tutta d’un fiato, Daredevil  lascia il pubblico con un amore sfrenato per quei personaggi pieni di chiaroscuri e quella New York così bella e crudele: è l’inevitabile effetto sullo spettatore di una serie dove rigorose narrazione e messa in scena sono in felice sintonia (e gli fanno dimenticare la brutta trasposizione cinematografica del personaggio interpretato da Ben Affleck: qui la gallery con i 10 motivi per cui quel Daredevil è stato un disastro). Con una qualità così alta Daredevil è la serie di supereroi migliore del panorama attuale, e una delle migliori e basta.

Il peccato e la redenzione, la fede in Dio e nell’umanità, la luce e il buio: Daredevil gioca la sua prima stagione sui contrasti. I suoi personaggi sono angeli, demoni, o angeli mascherati da demoni e la città è un inferno, ma la serie è un paradiso dove cast e crew sono perfetti.

Puntata cult 1×2 Cut Man
La parabola di un combattente solitario – e solo – narrata dal divano nel soggiorno di una samaritana, che si chiude su un piano sequenza claustrofobico dove il vigilante si cimenta in una delle fight scene più belle, crude, esasperate e coinvolgenti degli ultimi anni. Ottima regia, ottimi attori (e stuntmen).

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