Io capitano: il viaggio della speranza di due giovani senegalesi nel film di Matteo Garrone. La recensione da Venezia 80

Il nuovo film del regista di Gomorra e Reality racconta il viaggio avventuroso di Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), due giovani cugini che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa. Un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare

Io capitano: il viaggio della speranza di due giovani senegalesi nel film di Matteo Garrone. La recensione da Venezia 80

Il nuovo film del regista di Gomorra e Reality racconta il viaggio avventuroso di Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), due giovani cugini che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa. Un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare

Io capitano
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PANORAMICA
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Fotografia
Montaggio
Colonna sonora

Io capitano racconta il viaggio avventuroso di Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), due giovani cugini che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa. Un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare.

Il nuovo film di Matteo Garrone, presentato in Concorso a Venezia 80, è per certi versi un notevole alleggerimento rispetto al consueto apparato stilistico di questo regista, spesso incline, specie nella prima parte della sua carriera, a indagare il lato laido e mostruoso degli esseri umani in chiave fiabesca. Per poi dedicarsi a delle fiabe vere e proprie, anche se ovviamente macabre e molto terrene, come il deludente Il racconto dei racconti e il sostenuto, ma comunque oleografico, Pinocchio.

A questo giro Garrone insegue la massima naturalezza e prossimità rispetto alla resa sullo schermo dei suoi due protagonisti, rendendo di fatto più sfumato e invisibile il suo consueto stile “armato” fatto di pedinamenti, macchine a mano e lavoro artigianale sull’immagine; chiamato a rivaleggiare con la pittura, che, insieme al cinema (e al tennis), è sempre la più grande passione del cineasta. Seydou e Moussa hanno sogni artistici e musicali, gli capita, mentre uno dei due sogna la carriera da rapper, di sentire stralci di canzoni napoletane sul telefono, si aggrappano alla chimera quel viaggio in Europa – difficilissimo, insormontabile, per molti un prezzo da pagare addirittura con la vita – per aiutare la madre e le sorelle, o anche solo per non avere più una casa che cade a pezzi, potendo mandare loro degli aiuti economici. 

Affiancato in sceneggiatura dai suoi fidati collaboratori Massimo Gaudioso, Massimo Cecchini e Andrea Tagliaferri, Garrone in Io capitano racconta un contemporaneo e a suo modo epico cammino della speranza di due ragazzi come tanti, talmente ordinari da non diventare mai straordinari, nemmeno grazie alla ribalta dorata del cinema. Ne fa un film da un lato puramente garroniano, nella misura in cui gli sguardi e le ombre hanno un precisissimo valore estetico e morale nel mettere in quadro l’immagine, ma dall’altro anche limpido, sentimentale, appassionato, libero da qualsivoglia sovrastruttura. 

Tutti i momenti sono accarezzati con una schiettezza docile che azzera ogni distanza e giudizio, permettendo a noi spettatori di empatizzare con le peripezie di chi è costretto a fronteggiare la traversata del Mediterraneo, ormai da troppo tempo un cimitero in mare aperto, per abbracciare un futuro se non migliore quantomeno abitato da un piccolo refolo di speranza. Se in Terra di mezzo, suo esodio del 1996, Garrone aveva raccontato l’emarginazione di alcuni stranieri immigrati in Italia, qui compie il percorso opposto, partendo da una storia vera, in particolare quella di un giovane venuto in Italia dalla Costa d’Avorio con suo cugino di 15 anni anni e che oggi lavora come mediatore culturale a Caserta, per concentrarsi su un’epopea da vivere tutta in soggettiva (il film è ispirato alle vicende realmente accadute a Kouassi Pli, Adama Mamadou, Arnaud Zohin, Amara Fofana, Brhane Tareke e Siaka Doumbia).

Per Garrone si tratta anche di un controcampo «rispetto alle immagini che siamo abituati a vedere dalla nostra angolazione occidentale, nel tentativo di dar voce, finalmente, a chi di solito non ce l’ha». Ed è proprio questo intento a fare di Io capitano un film purissimo, di umanità e poesia cristalline, costruito col senso dell’oralità di un umile cantastorie e col tepore di un sempre singolare – ma mai così sobrio, quieto e perfino invisibile – osservatore d’umanità come Garrone. Un autore abile come pochi a valorizzare gli attori, specie se non professionisti, e che in questo caso non ha nemmeno fornito agli interpreti la sceneggiatura, lasciandoli fino alla fine in un clima di incertezza sull’epilogo della vicenda e appassionandosi così al loro stupore prima ancora che al nostro.

Foto: Rai Cinema, Pathé, RTBF

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