Festa di Roma, la rivelazione di Jake Gyllenhaal: «Vorrei essere diretto da Pedro Almodóvar»

L'attore incontra il pubblico della Festa e ripercorre la sua fortunata carriera, da Donnie Darko all'ultimissimo Stronger

Festa di Roma, la rivelazione di Jake Gyllenhaal: «Vorrei essere diretto da Pedro Almodóvar»

L'attore incontra il pubblico della Festa e ripercorre la sua fortunata carriera, da Donnie Darko all'ultimissimo Stronger

Jake Gyllenhaal alla Festa di Roma

Difficile non rimanere conquistati dal magnetismo di Jake Gyllenhaal, da quegli occhi enormi, incastonati in un volto squadrato, che gli donano un’espressività e una presenza fuori dal comune.

Si tratta anche di un interprete genericamente sottovalutato, nel senso che le sue doti recitative andrebbero se possibile sottolineate di più, perché come attore ha segnato una generazione: l’adolescente problematico di Donnie Darko e il cowboy gay di I segreti di Brokeback Mountain sono probabilmente le sue incarnazioni più celebri (la seconda gli è valsa la sua prima e unica nomination all’Oscar), ma di recente ha offerto prove eccellenti in Zodiac, Animali notturni e soprattutto nello spiritato e luciferino Nightcrawler – Lo sciacallo. Fino all’ultimo Stronger, dove interpreta un uomo rimasto senza gambe in seguito a un attentato alla Maratona di Boston e grazie al quale dirà sicuramente la sua ai prossimi Oscar.

Attivista impegnato per i diritti umani, la non violenza e l’ambiente, figlio di registi e fratello dell’attrice Maggie, vederlo parlare di se stesso e di tanto altro, nell’Incontro Ravvicinato della Festa del cinema di Roma, è un po’ come vederlo recitare, perché si viene invasi da un misto inequivocabile di forza ed eloquenza, rese ancora più granitiche da un’ironia gentile e da una piacevolezza istantanea.

Donnie Darko, che ti rese famoso, è diventato un film cult. Te lo aspettavi? Secondo te quali sono le ragioni del suo successo?

Esistono più livelli in Donnie Darko: la fantascienza, ma anche una storia umana, al di là delle convenzioni e fuori dai tracciati consueti. Questo aspetto penso abbia toccato in profondità, quest’empatia non è passata inosservata. E poi, quando un film commercialmente non va bene viene definito un cult movie! Nel profondo del mio cuore credevo a questo film, ma metto il cuore in tutto quello che faccio in realtà. All’epoca ero giovanissimo, non sapevo niente del mondo del cinema, ma ho creduto in questa storia dal sapore universale. Allora erano pochi i film di teenager senza feste e innamoramenti vari, mentre il film di Richard Kelly scalfiva la superficie della realtà per andare in profondità. E, detto tra noi, che guance enormi che avevo all’epoca!

Un’altra tua intensa interpretazione successiva è nel war-movie Jarhead di Sam Mendes.

Non ho mai avuto esperienze dirette con la vita militare, se non tramite amici. Sam Mendes per quel film ha ricreato un bootcamp dove vivevamo come militari e ripetevamo la litania tipica di situazioni di addestramento come fossero vere. Sam, essendo un regista teatrale, ci ha fatto provare per un mese ed è stata un’esperienza fantastica che non avevo mai fatto prima. Mi ha aiutato a capire in profondità il mio personaggio…In generale sono affascinato dall’esperienza umana, dall’inconscio e quando sogno sogno sempre cose diverse.

E poi arrivò Ang Lee con I segreti di Brokeback Mountain. Come l’hai conosciuto?

Credo sia il sogno di qualsiasi attore lavorare con Ang Lee e avevo sentito parlare di questa sceneggiatura che girava da un po’. Ho pianto leggendola, alcuni attori erano timorosi all’idea di affrontarla ma il regista voleva semplicemente due attori che funzionassero insieme. Ricordo l’incontro con Ang, non mi diede scelta, la decisione fu solo sua e mi volle a tutti i costi. Mi misi in un angolo della stanza in cui io fui fatto accomodare, parlammo e un mese dopo mi fu detto che la parte era mia.

Credi possa ancora essere un rischio interpretare una storia d’amore omosessuale per un attore, oggi?

Oggi vediamo più storie d’amore omosessuale, all’epoca non era così, nella pop culture. Non so se possa risultare un rischio farlo nell’America di oggi, l’attualità è attraversata da paure, degrado culturale, anche una certa dose di confusione. Ciò non fa che aumentare la mia voglia di raccontare storie importanti!

Definiscimi con un aggettivo Ang Lee e con un altro David Fincher, che ti ha diretto in Zodiac.

Ok, vado via! (ride, ndr) Davvero difficilissimo. Per Ang Lee non mi viene in mente un singolo aggettivo, ma piuttosto un’espressione intera: è un cuore con le gambe. Per Fincher, invece, direi che ci può essere una sola parola valida: precisione.

In Nightcrawler – Lo sciacallo, film che ha avuto meno successo di quello che meritava, reciti quasi senza sbattere le ciglia.

Sarebbe stata folle l’idea di non battere le ciglia, ma avevo riflettuto a lungo su questo personaggio dotato di videocamera sempre al seguito, descritto attraverso monologhi eccezionali che dobbiamo alla bella penna di Dan Gilroy. Dovevano essere pronunciati ad un certo ritmo, come fossero stilettate, degli interventi non nati sul momento ma frutto di una riflessione molto attenta che li ha preceduti. Inconsapevolmente il mio sguardo nel recitarli è rimasto fisso, un po’ come fa un animale che punta una preda.

Se devi scegliere un film italiano, la tua scelta ricade su La strada di Federico Fellini, che hai indicato per questo incontro. Come mai?

Si tratta di una scelta semplicissima perché è il film italiano cui sono più legato, ha un posto speciale nel mio cuore perché mi ricordo che fu questo film a convincere mio padre (il regista Stephen Gyllenhaal, ndr) che la sua strada fosse il cinema. Senza mio padre non avrei fatto l’attore e non sarei nemmeno qui oggi. La strada è un film che racconta anche delle tribolazioni del regista, di quanto sia difficile fare un film quando l’unico a crederci sei proprio tu. Mi ha sempre colpito la combinazione tra profondo dolore e commedia che lo invade e poi ci sono gli artisti circensi, in cui mi ritrovo molto.

In chiusura, dicci un regista del passato con cui avresti voluto lavorare e un autore contemporaneo con cui non hai lavorato ma da cui vorresti essere diretto!

Per il passato direi proprio Fellini, dopotutto siamo a Roma ed è il posto giusto per dirlo! Tra i contemporanei mi piacerebbe molto lavorare con Pedro Almodóvar.

Foto: Getty Images

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