Bad is better: si potrebbe riassumere così la carriera hollywoodiana dell’attore austro-tedesco Christoph Waltz, che ha inaugurato gli Incontri Ravvicinati della Festa del Cinema di Roma 2017. Reso celebre dal suo talent scout d’eccezione Quentin Tarantino, che lo ha lanciato a Hollywood nel 2009 affidandogli il ruolo dell’irresistibile colonnello nazista Hans Landa in Bastardi senza gloria, Waltz ha conosciuto da lì in poi una fama da cattivo che l’ha reso molto richiesto in tante produzioni hollywoodiane.
Grazie a Tarantino sono arrivati anche due Oscar al miglior attore non protagonista, vinti proprio per il ruolo di Landa e poi per il successivo Django Unchained in cui era il dentista Dr. King Schultz, ma anche le collaborazioni con Polanski per Carnage e con Tim Burton per Big Eyes. La sua ultima interpretazione, giocosa e sorniona, è quella dello scapestrato vicino di casa serbo di Matt Damon in Downsizing.
L’attore si è raccontato al nutrito pubblico della Festa lasciandosi guidare dalle domande del direttore artistico Antonio Monda, che ha aperto l’incontro raccontando del loro primo incontro al Festival di Cannes, quando entrambi si sono presentati a un party due ore prima, pur essendo l’anticipo richiesto dall’etichetta di “solo” un’ora e mezza. Un aneddoto spassoso che ha subito rotto il ghiaccio, per poi consentire alla simpatia sprezzante e all’energia di Waltz di fare il resto nel corso della conversazione.
Non si può non partire chiedendoti di Quentin Tarantino. Che tipo di regista è, più visivo o più di scrittura?
Con Tarantino tutto è nella sceneggiatore, lui crea il mondo, il personaggio e poi lo lascia libero di agire, ma è tutto nella sua mente. Non c’è bisogno di aggiungere nulla quando qualcuno mette mano a qualcosa, ma in generale io non sono un fan dell’improvvisazione. Sono convinto che sia davvero sopravvalutata. Io non improvviso mai. Trovo davvero assurda questa convinzione secondo la quale se io recito la parte di una nazista devo fondare un campo di concentramento. L’immaginazione è l’elemento più importante per un attore, conta il modo in cui viene nutrita e scatenata. Per ogni attore del mondo c’è un angolino, una piccola parte in cui può essere sensazionale.
Hai lavorato anche con Roman Polanski.
Quentin è classico e Roman è barocco, sentenziando, sono molto diversi.
Hollywood ti sceglie spesso in ruoli da cattivo.
Ho lavorato in Austria prima di arrivare a Hollywood e non so dire quanti film ho fatto, quanti programmi televisivi. Non ho fatto solo film in cui ero il cattivo e in totale penso di aver interpretato tra i 100 e i 150 film! A volte i finanziatori dei film tendono a scegliere un attore che faccia il cattivo che siano sicuri che funzioni, è la realtà ed è inutile girarci intorno. Fare il cattivo però è di gran lunga più divertente, c’è una vasta gamma di espressività cui si può ricorrere e l’antagonista, dal punto di vista tecnico, è il personaggio più interessante, perché è un motore per tutta la vicenda e deve esserlo dal punto di vista drammaturgico.
Quali sono stati gli attori di riferimento nella tua formazione?
All’epoca, quando ero giovane, pensavo che Marlon Brando fosse il più grande genio che esisteva al mondo, oggi però non riesco a vedere certi suoi film. I punti di riferimento cambiano mentre ci evolviamo e quell’attore scelto come punto di riferimento a suo tempo non è che fa sempre un lavoro eccezionale, com’è ovvio che sia. Quindi l’ammirazione non dovrebbe mai diventare un’ideologia.
L’ultimo film che hai interpretato, Downsizing di Alexander Payne, è una commedia. Cosa ne pensi della superficialità con cui i critici leggono molte commedie?
I critici non capiscono le commedie, proprio non ce la fanno. Aristotele ha parlato di tragedia, mentre la parte in cui discuteva e rifletteva sulla commedia non è giunta fino a noi. Forse tutti i critici sono aristotelici!
I tre film che hai voluto segnalare all’interno di questo incontro – domanda che facciamo sempre ai nostri ospiti – sono Il momento della verità di Francesco Rosi, Vivere di Akira Kurosawa e I vitelloni di Federico Fellini.
Ho scelto questi film perché in tutte e tre le storie i protagonisti sono persone che non cercano un posto nella società ma vogliono cambiare le cose, hanno il desiderio di fare la differenza per davvero. Una volta l’ho anche incontrato Fellini, lavoravo in un teatro a Zurigo ed ero amico dell’editore che pubblica le opere di Fellini in tedesco. Lui utilizzava il suo ufficio come sede per il casting di Una nave va. Sono stato seduto lì con lui, ho imparato tanto. Avevo 24 anni, un sacco di ambizioni, ero un vero ribelle. In una delle fotografie che avevo con me nel portfolio ce n’era una dove sfoderavo un sorriso smagliante, lui ha detto alla sua assistente di portagli un paio di forbici e l’ha ritagliata. Si è tenuto solo il mio sorriso!
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