Ora che Iron Man e Captain America ci hanno lasciato dopo una feroce battaglia in Avengers: Endgame, l’ex geniale neurochirurgo, nonché il mago più forte di tutti, Doctor Strange (Benedict Cumberbatch), deve svolgere un ruolo attivo come figura centrale degli Avengers. Tuttavia, usando la sua magia per manipolare il tempo e lo spazio a piacimento con un incantesimo proibito e considerato il più pericoloso di sempre, ha aperto le porte a una misteriosa follia chiamata Multiverso.
Per ripristinare un mondo in cui tutto sta cambiando, Strange chiede aiuto al suo alleato Wong (Benedict Wong), il nuovo Stregone Supremo, e alla più potente Scarlet Witch, Wanda (Elizabeth Olsen). Ma sull’umanità e sull’intero universo incombe una terribile minaccia, che non può essere affrontata solo dal loro potere.
Doctor Strange nel Multiverso della Follia non è solamente il film fin qui più horror del Marvel Cinematic Universe, come preannunciato dal presidente dei Marvel Studios Kevin Feige in tempi non sospetti, ma anche il ritorno del regista Sam Raimi al genere che lui stesso aveva contribuito a forgiare e lanciare in termini commerciali e su larga scala ormai vent’anni fa col primo Spider-Man. Era dunque un ritorno a casa ma pure un ritorno alle origini, per un cineasta tra i più scapigliati, irriverenti e originali in assoluto nel modellare il gore e lo splatter con ironia smodata e sempre un po’ squinternata, nonché – a tutti gli effetti – il padre nobile del cine-fumetto come lo conosciamo oggi.
Il sequel del Doctor Strange del 2016 diretto da Scott Derrickson, dal titolo evidentemente lovecraftiano, non ha naturalmente né l’autentica vena camp dei trascorsi della filmografia di Raimi né la limpidezza archetipica delle avventure dell’amichevole Spidey di Tobey Maguire, ma è piuttosto un punto di incontro preciso e puntuale tra le esigenze della committenza Marvel, e i suoi margini di manovra per forza di cose limitati nell’elevare a potenza l’epica dell’interconnessione e della strizzata d’occhio, e l’estro del regista de La casa.
Una vena incendiaria che brucia a fuoco lento, parte nascondendosi dietro l’ironia tipica del MCU, delizia gli spettatori con una sequenza urbana mostruosa e pirotecnica – in cui il senso della fisicità nell’aggressione al nucleo della metropoli è lo stesso, in termini prospettici e di forze in campo, dei suoi Spider-Man – e via via che il minutaggio s’ispessisce e i meandri del Multiverso si fanno più intricati finisce sempre col dettare le condizioni di uno spettacolo audiovisivo funambolico e a tutto tondo, guidato dalla sceneggiatura del Michael Waldron di Loki.
Rispetto al precedente film su Strange non c’è alcuna moltiplicazione nolaniana dei livelli architettonici della realtà, ma il vero inception in questo sono le realtà alternative evocate da sogni tangibilissimi sotto forma di incubi a tinte forti, più concreti di quanto saremmo disposti a credere e negoziare. Una scoperta che investe anche gli spettatori e che dà al Multiverso una consistenza maggiore, conficcandolo esattamente al centro di questo fanta-horror esplosivo e macabro e facendone addirittura il cuore pulsante – al contempo romantico, martellante e psichedelico – di tutta l’operazione, che approda a un’ultima mezz’ora dove Raimi non si contiene davvero più e tutti i detriti accumulati in precedenza sono lasciati liberamente a deflagrare e duellare tra loro, anche nelle ricadute più malinconiche (come la storyline di Wanda, in particolare per quel che riguarda i figli, portata avanti rispetto a WandaVision) o nella valorizzazione delle maestranze (la colonna sonora del solito Danny Elfman).
Senza contare che, in un continuo gioco di rifrazioni e universi paralleli a misura di traumi e di alternative esistenziali accarezzate, sfiorite o anche solo possibili, tra dimore ridotte a macerie, porte diroccate e prigionie dettate dai propri, vari sé alternativi, Doctor Strange nel Multiverso della Follia, oltre alla sua deliberata libertà nell’affrontare di petto streghe e zombie, Darkhold e morti viventi, finisce per essere uno dei film del MCU più direttamente interessati alle increspature e agli slittamenti dei desideri individuali dei personaggi, a quei tumulti emotivi intermittenti simili a tempeste in un bicchiere, in una sorta di unico, colossale e struggente What If.
Foto: MovieStillsDB
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