Mentre tutti fissavano il dito, e cioè i fumetti della Marvel e della DC, la Luna, e quindi i manga, i fumetti più piccoli e quelli sviluppati, scritti e immaginati in altri paesi, si muovevano silenziosamente sullo sfondo. E ora, alla fine del 2023, ci troviamo davanti all’evidenza dei fatti: nel futuro della televisione e del cinema, almeno dal punto di vista internazionale, ci sono saghe che non hanno niente, o quasi niente, a che fare con i supereroi americani.
Da una parte, infatti, le opere più autoriali, volumi autoconclusivi con una storia definita nel tempo e nello spazio, stanno dando a una certa corrente indipendente spunti e protagonisti per provare a raccontare la nostra attualità (un esempio: Shortcomings, tratto dall’omonimo fumetto di Adrian Tomine). Dall’altra i colossi dello streaming hanno adocchiato manga come One Piece e hanno deciso di provare a tradurre le vignette in live action. Sulla carta, è indubbiamente un’operazione rischiosa.
Quella di One Piece è una storia piena di poteri e personaggi assurdi e non è così facile raggiungere un equilibrio tra tutti gli elementi di interesse. È anche vero, però, che parliamo del manga più venduto al mondo, un brand – sì, un brand – conosciuto ovunque, con una sua forza e un suo potenziale. In molti, analizzando questo progetto, si sono divisi. C’è chi pensa che Netflix, che l’ha distribuito e prodotto, l’abbia fatto per allargare il suo pubblico e provare a intercettare i lettori di One Piece e gli spettatori del suo anime.
Qualcun altro, invece, ha considerato la possibilità – piuttosto debole, a questo punto – di un investimento rivolto puramente ad allargare il proprio archivio e la propria offerta. La questione, però, è un’altra. Ed è capire il significato profondo di adattamento. E dunque quello che vuol dire prendere una storia pensata in un linguaggio e tradurla in un altro linguaggio. Perché è fondamentale fare una scelta quando si affronta un percorso del genere. È difficile, se non addirittura impossibile, riuscire a riproporre le stesse situazioni presentate in un fumetto in un live action. Prima di tutto perché non sempre ci sono le risorse necessarie per farlo. E poi perché, cosa più importante, c’è il rischio concreto di perdere qualunque tipo di credibilità narrativa. Ogni linguaggio non ha solo le sue regole ma pure la sua coerenza strutturale. Si muove in uno spazio preciso. E quello spazio preciso richiede un approccio particolare. C’è anche un altro discorso da fare, e riguarda la visione dell’artista o degli artisti che vengono messi a capo di operazioni come questa. Non ha senso coinvolgere persone terze, che hanno una loro professionalità e un loro carattere, con la speranza di vederle mettersi completamente da parte per rispettare il materiale originale. Il pubblico, quando si trova davanti a un determinato prodotto, cambia. Intendiamoci: non letteralmente. Ma se è un pubblico allenato, sa che cosa aspettarsi di fronte a un film, una serie o a un fumetto. Insomma, torniamo sempre qui. Al dito e alla Luna. A quello che vogliamo e a quello che, invece, è.
Alla distinzione elementare tra aspettative e realtà. I fumetti, presi come categoria unica, rappresentano uno dei bacini più ricchi di idee per il cinema e la televisione. Bisogna fare un passo indietro: leggere le storie, capirle e imparare a rispettarle. E solo a quel punto decidere o meno di fare il grande salto e di provare a portarle in un altro contenitore. One Piece, il brand, sarà sicuramente in grado di sopravvivere al suo live action. Ma i live action di anime e manga, soprattutto quando finanziati e voluti da realtà americane, riusciranno a sopravvivere a questa operazione?
© Tomorrow Studios, Netflix, Shueisha
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