Tutto, forse, si riduce a una vecchia questione che già anni fa, in uno dei suoi film più belli, Sogni d’oro, aveva affrontato Nanni Moretti. La riassumiamo così, con una citazione: «Parlo mai di astrofisica, io? Parlo mai di biologia, io? (…) No, parlo mai di neuropsichiatria? Parlo mai di botanica? Parlo mai di algebra? (…) Io non parlo di cose che non conosco!» Ecco, il punto, se di punto vogliamo parlare e se, quindi, vogliamo provare a rimanere nel campo ristretto delle teorie, è esattamente questo. Dovremmo tutti limitarci a parlare delle cose che conosciamo. O almeno delle cose di cui vogliamo effettivamente parlare e che non siamo disperatamente pronti a banalizzare per passare ad altro. Perché, appunto, non ci interessano.
Non si può, nel 2023, sentir parlare di manga come di un giocattolone, come di un fenomeno senza né capo né coda, fatto per i più piccoli, per non dire niente e per guadagnare tanti soldi. I manga sono importanti, proprio come sono importanti – citiamo di nuovo Moretti – le parole. Se arrivano in cima alle classifiche dei libri più venduti, se riescono, ogni settimana e ogni giorno, a farsi spazio tra titoli diversi, di diversi autori e di diversa provenienza, un motivo ci sarà. Certo: quel motivo può essere anche un improvviso e del tutto ingiustificato delirio di massa. Chi dice di no. Però non ha comunque senso denigrare quello che non si conosce, quello che non amiamo, perché è più facile, più immediato e più forte. Non è nemmeno giusto, se dobbiamo essere onesti, voler ridurre tutto a: io posso parlarne, e tu no. Perché, in quel momento, non ci sarebbe nessun dialogo. (La citazione dell’inizio, lo diciamo per evitare qualunque tipo di fraintendimento, era un’iperbole). Ma il dialogo, per sua natura, si fonda sul rispetto reciproco. Sull’ascolto dell’altro, e anche sulla voglia – questa santa, santissima voglia – di cercare di capire quello che uno sconosciuto, uno diverso da noi, nato e cresciuto in un altro contesto e con altri punti di riferimento, ha da dire.
È il problema di una certa critica di oggi, generalista. Troppo autocelebrativa, troppo autoreferenziale; troppo sicura di stare dalla parte del giusto (ma c’è, ci chiediamo, una parte del giusto quando si parla di gusti?). I toni, come i manga e le parole, sono importanti. Il modo in cui decidiamo, o non decidiamo, di affrontare un determinato argomento è essenziale. Soprattutto perché ci può permettere – oppure no – di avvicinare un particolare tipo di pubblico.
I manga, oggi, sono una realtà. Più di ieri e probabilmente anche più di domani. Vendono, e vendono bene. E vanno capiti. Proprio come, in passato, ci siamo sforzati di capire cinema, letteratura e televisione. Ci sono tanti tipi di manga, e ogni manga, proprio come ogni libro, si rivolge a un lettore diverso. Prendiamo Demon Slayer, pubblicato da Star Comics. È pieno di combattimenti e di azione: vero. E di mostri e di demoni (che non sono vampiri; sono, appunto, demoni). Ma il genere, come succede spesso, è solo un veicolo per parlare di altro. Di lutto, per esempio. Di rapporti personali, come l’amicizia, e di rapporti più profondi, come la famiglia.
Demon Slayer, queste cose, le dice a un pubblico variegato, ampio, probabilmente giovane. E lo fa nella sua maniera. A qualcuno può non piacere – e per fortuna. Ma perché dirlo sottovalutandolo? La critica ha una responsabilità: ed è la responsabilità di rivolgersi a chi legge – non a tutti; non per forza alla generalità del pubblico. Ha senso colpire il proprio interlocutore? Escluderlo subito, così, dalla conversazione? Dov’è la lungimiranza, in questo? Dov’è la voglia di rimanere aggiornati e di studiare, e di dirsi pronti a capire e a imparare? È già finita? Quello che viene dopo va immediatamente tacciato di inferiorità e di approssimazione? E allora, se vogliamo, la stessa cosa si può dire di chi è venuto prima.
Conosciamo, prima di parlare. E parliamo, dopo, con la consapevolezza della conoscenza. Fa bene a noi, sì, e fa bene anche agli altri.
© Opera Film
Produzione, Rai 1 () Star Comics (4)