Altan non è mai stato solo l’autore delle vignette dei quotidiani o della Pimpa. Nel corso degli anni, grazie a innumerevoli lavori, ha saputo raggiungere ogni angolo del mondo del fumetto. Ha esplorato, scoperto, capito. E non è poco, se ci pensiamo.
Per molti l’arte, specialmente quando si fa, dà il diritto assoluto di affermare ed evita il grande problema di porre delle domande. Altan, invece, ha sempre chiesto, indagato e ascoltato. L’arte l’ha vissuta: non l’ha subita passivamente. Con Cipputi ha dato voce all’Italia e agli italiani; ha usato l’arma dell’ironia e della satira per sradicare le ipocrisie sociali ed economiche, e per provare a mostrare un’altra faccia del nostro paese: quella povera, sofferente, che non ha né modo né tempo per potersi difendere o per poter avanzare qualunque tipo di pretesa. È la crisi della politica, della sinistra, dei valori. È la crisi della società: assolutamente. Ma è anche la chiave di volta di un linguaggio – quello, appunto, della satira – che in pochissimi sanno utilizzare. Non c’è alto troppo alto, e decisamente non c’è basso troppo basso. Nessuno è al sicuro: tutti possono finire nel mirino dell’umorismo e del sarcasmo.
Altan è un maestro, e non lo è, banalmente, per modo di dire. Non lo Artista poliedrico e maestro di satira, il creatore della Pimpa si smarca dai vincoli delle vignette e dei giornali, e con Avventure metropolitane libera tutto il suo cinismo Altan tra le pieghe dell’umanità è nemmeno perché è arrivato prima degli altri, ha piantato la sua bandierina e ora, dall’alto, si gode la vista del panorama. Altan è un maestro perché sa: perché ha capito esattamente come muoversi, quali corde pizzicare. La sensibilità, per lui, è come una lente di ingrandimento sulle persone e su ciò che ci circonda. Vede, e vede intensamente, la realtà.
Con Avventure metropolitane, pubblicato da Coconino Press, viene avanti un altro autore. Uno che non si deve piegare alla velocità delle vignette, che non deve usare i giornali come campo di gioco, ma che ha le pagine per fare, dire e mostrare precisamente quello che vuole. E così Altan si fa più pungente e attento; prende la pochezza umana e la mette al centro della scena, e poi la pungola, la ribalta, la cattura nella sua essenza. Torturatore e poeta. Corpi deformi, corpi sinuosi, felini, e corpi tozzi si danno il cambio in una serie di racconti pieni di colori e di bianco e nero, di sensualità e cattiveria, di povertà e miseria. Altan, lo dicevamo prima, sa. E in ognuna di queste storie, dove gli occhi si fanno piccoli, ipnotici e stanchi, dove i capezzoli delle donne sono puntini insistenti sulle tavole e dove le mani degli uomini sembrano quasi zampe artigliate di bestie feroci, ci sono sfumature, estremi, opposti; c’è la fragilità degli esseri umani, e c’è la loro insaziabile voglia di possedere, di non restare soli, di avere l’ultima parola. «La vita è sacra. Finché è nel feto, almeno». «Erede mio, nascerai in un mondo nuovo, e noi ti racconteremo che eravamo lì, sul ciglio della strada, quando la storia ha fatto la grande curva!» «Secondo me se ne fotterà altamente, Ciccio». Tre battute, solo tre. E in questo scambio serrato ritornano il ritmo e la musica, e ritorna soprattutto la vena ironica, cinica e senza pietà di Altan: prima la politica, poi la speranza, infine un realismo brutale.
Colpiti e affondati. Siamo qui, pronti a sognare. Pronti a giudicare. E probabilmente nessuno, domani, se ne fotterà.
©Coconino Press
© RIPRODUZIONE RISERVATA