Cannes 70: ecco Wind River, l’autore di Hell or High Water azzecca un altro grande thriller. La recensione

Dai deserti del Texas ci si sposta nelle pianure innevate del Wyoming, ma Taylor Sheridan conferma il suo talento. Nel cast, Jeremy Renner ed Elizabeth Olsen

Cannes 70: ecco Wind River, l’autore di Hell or High Water azzecca un altro grande thriller. La recensione

Dai deserti del Texas ci si sposta nelle pianure innevate del Wyoming, ma Taylor Sheridan conferma il suo talento. Nel cast, Jeremy Renner ed Elizabeth Olsen

Wind River, il nuovo thriller dello sceneggiatore di Sicario e Hell or High Water

Dopo tre thriller come Sicario, Hell or High Water e Wind River – presentato a Cannes 70 nel Certain Regard e primo lavoro di cui oltre che sceneggiatore è anche regista – si può fare un bilancio e cercare nel cinema di Taylor Sheridan un profilo autoriale, al netto delle committenze e delle esigenze di mercato. Questo terzo film usa ancora una volta le convenzioni di genere – tante, quasi tutte – come si dovrebbe sempre fare, cioè per suscitare una memoria emotiva, dare corpo a un racconto breve (nei film di Sheridan, soprattutto gli ultimi due, succedono in fondo pochissime cose) e definire il contesto di un discorso politico.

La storia si svolge in una riserva indiana del Wyoming in pieno inverno: territorio sterminato, popolazione ridotta all’osso (40.000 abitanti su 9000 chilometri quadrati),  tempeste di neve da non vedere a un palmo e temperature che ti spaccano letteralmente i polmoni se non ti copri abbastanza. Il protagonista Cory Lambert (Jeremy Renner) di lavoro fa il cacciatore di lupi, come John Ottway/Liam Neeson in The Grey, cioè ammazza i predatori prima che attacchino il bestiame o la popolazione. Un giorno trova una ragazza indiana morta nella neve, la figlia di un amico, a tre chilometri dalla prima baracca. Com’è finita lì, e perché? Arriva un agente dell’FBI (Elizabeth Olsen) e iniziano assieme a indagare.

Succedono poche altre cose, meglio non dirle, tanto il progetto è già chiaro così: le nevi del Wyoming prendono il posto dei deserti del Texas, ma la terra resta selvaggia, gli uomini fanno più paura delle bestie, la caccia è ancora aperta e chiama ancora in causa i rapporti razziali. Identità e territorio, questo interessa a Sheridan, il modo in cui il posto in cui vivi ti assegna un destino e il modo in cui decidi di accettarlo o combatterlo. E poi storie vecchie ma sempre buone: l’amicizia virile (ancora un bianco e un indiano, come in Hell or High Water), le grinfie del passato, le radici – indigene o colonialiste – che sono entrambe più un impiccio che una dote.

Oltre a questo bisognava decidere se l’ottimo sceneggiatore fosse anche un buon regista. Il risultato è spettacolare, il film dura sempre un minuto in più di quel che aspetti quando si tratta di raccontare i personaggi e un minuto in meno quando si tratta di mostrare l’azione (succedeva anche in Sicario ed Hell or High Water); ma le poche cose che accadono, accadono con tempestività e chiarezza (le due sparatorie del film sono pezzi di bravura), la violenza è senza scampo, tutto precipita velocemente.

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