C’è una scena, in La meravigliosa storia di Henry Sugar di Wes Anderson, che mi ha mandato fuori di testa. Voglio dire, al di là di Wes Anderson di per sé, e al di là del fatto che ha preso un racconto di Roald Dahl e, invece che adattarlo al mezzo cinema/Tv, ha creato una specie di audiolibro coi visual che non ha il minimo senso. Non dilunghiamoci.
Dicevo: c’è una scena in particolare che mi ha mandato fuori di testa. A un certo punto il narratore descrive un personaggio, e ci spiega che aveva mani eccezionalmente magre. Il personaggio in questione è interpretato da Sir Ben Kingsley.
Sir Ben Kingsley, leggendario attore dall’incredibile carriera che va dal vincere un Oscar per Gandhi allo scorreggiare in Iron Man 3 (quasi sicuramente i due ruoli per cui verrà ricordato), è stato scelto per la parte per il suo generale carisma e l’affinità con le molteplici sfumature del personaggio assegnatogli, ma non per forza per il dettaglio delle mani.
Grammatica audiovisiva, però, vuole che, se la voce fuori campo dice che un personaggio ha le mani eccezionalmente magre, poi bisogna che le inquadri. Per cui ecco, la cinepresa le inquadra rapidamente, e noi vediamo che Sir Ben Kingsley ha delle mani regolarissime. Wes Anderson non si tira indietro: fa finta di nulla, ti fa il primo piano sulle mani normali di Sir Ben Kingsley, e spera che le parole del narratore bastino da sole a ipnotizzarti per fartele considerarle eccezionalmente magre. Che è esattamente dove l’idea di riprodurre fedelmente un audiolibro, per poi limitarsi ad aggiungere i visual, perde talmente di senso da diventare controproducente. Per cui sì, mi sono inalberato, ma non sono (del tutto) pazzo e mi rendo conto che è comunque un momento piuttosto usa e getta nel contesto di tutto il corto.
Il vero punto è che il cinema, fischiettando, si affida a questo trucco spessissimo. Le sceneggiature vengono scritte quasi sempre prima del cast: non sempre il cast corrisponde a ogni dettaglio necessario, e in qualche modo bisogna correggere. Forse fa più ridere l’esempio contrario, ovvero quando una battuta viene inserita proprio per rimediare a visual diciamo “imprecisi”, e forzare in qualche modo una determinata ricezione là dove gli occhi da soli potrebbero non arrivarci.
L’esempio più classico è tutto il sottogenere di commedia romantica con la ragazza “bruttina ed emarginata” che è in realtà solo una top model con gli occhiali e i capelli raccolti, ma una delle mie scene preferite sta in Hulk di Ang Lee (2003). Per il ruolo dello scienziato timido e represso, Ang Lee aveva scelto per motivi imperscrutabili Eric Bana. Eric Bana era un giovanottone australiano col fisico da quarterback che si era fatto notare in Chopper, in cui interpretava un violento e minaccioso criminale. Quando lo vediamo fare il suo ingresso in Hulk, Eric indossa vestiti modesti ed elmetto da ciclista. Ha uno sguardo vagamente smarrito, ma nonostante tutto è bellissimo, con le spalle larghe e un six-pack nascosto male. Eppure un collega lo ferma e gli fa “Con quell’elmetto in testa sembri un nerd enorme persino in mezzo agli altri nerd”. Ecco: Wes Anderson, mentre inquadra le mani non magre (non è hand-shaming) di Sir Ben Kingsley in La meravigliosa storia di Henry Sugar, fa qualcosa che è sostanzialmente costretto a fare e poi cambia subito argomento sperando non ci abbiate fatto caso.
L’effetto che fa invece quel dialogo di Hulk è lo stesso di quella scena in Star Wars in cui Obi-Wan Kenobi in compagnia dei suoi amici robottini viene fermato dalle guardie dell’Impero, fa un gesto magico con la mano, e dice “questi non sono i droidi che state cercando”. Ang Lee vuole che rimaniate ipnotizzati e non vi accorgiate dell’ovvio. Vuole che pensiate “beh, se lui dice che Eric Bana sembra un nerd allora immagino che Eric Bana sembri un nerd”. E qualcuno di voi, colto alla sprovvista, lo farà.
Le immagini hanno un grande potere. Le parole hanno un grande potere. Spesso, quando si scontrano, se ne vedono delle belle, e mi affascina sempre osservare chi vince.
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