Sono bravo e ho paura

Sono bravo e ho paura

Sono grasso. Tanto. Come lo ero tre anni fa. Sono grasso e ho l’affanno. E a 42 anni ho paura. Non fumo, non ho mai neanche fatto per finta un tiro a una sigaretta. Mai. Sono stato la disperazione dello scenografo di Easy, per trovare nel pieno dei Carpazi le sigarette finte, quelle che usano “gli americani”.

Sono grasso, ho l’affanno e faccio fatica. Le ginocchia chiedono pietà, ormai, e il peso sul diaframma mi fa respirare malissimo da disteso. E per questo non dormo. E per questo ho iniziato ad avere paura del sonno. Mi sveglio con l’apnea notturna e mi chiedo quanto potrà andare avanti così. Ieri ero ospite da Geppi Cucciari, in prima serata su Rai Tre. Cazzo, sono bravo.

Ho provato una volta, con un musicista che non conoscevo, e abbiamo fatto una cosa bella bella. Ma sono diventato enorme. Non fumo. Non mi drogo: ho paura. So che se iniziassi, non smetterei. E non reggerei il colpo. Sono ludopatico, ma ho dovuto smettere. E allora, il mio amico Ennio, che mi manca ogni giorno un po’ di più, perché il tempo non lenisce le ferite, ma lascia sempre più spazio al ricordo delle cose belle che non ci sono più e mi manca da impazzire; il mio amico Ennio, dicevo, col suo sorriso a mezza bocca, sentenziava: “La tua droga di elezione è il cibo”. Sì. Non mi ubriaco più da tantissimo tempo, mi faccio più male ancora, perché bevo solo Coca Zero, mi sono comprato un soda stream e passo le notti a gasare l’acqua e poi mi sveglio in apnea perché sono pieno di aria e gas. Mi sono guardato, ieri sera, in prima serata. Sono bravo. Tanto. Ma adesso sono troppo grasso.

Quando ero giovane mi prendevano per i ruoli perché ero grasso. Pupi mi chiamò solo per quel motivo, non mi provinò nemmeno. Magnani mi fece ingrassare ancora di più, per fare Isidoro. E oggi peso dieci chili in più del mio piccolo pilota. Sono grasso. E non riesco a smettere di mangiare. Perché davanti al frigo sono solo. Perché al supermercato, aperto anche la notte, nessuno può vietarmi di comprare cioccolata, se la pago. Perché non ho la sindrome dell’impostore, ma ho quella del non capito. Perché la notte mi sveglia ancora il lavoro. Il dover sapere, conoscere. Il voler leggere. Il dover provare. Il dover ripetere, imparare. Il dover essere all’altezza. Di quel talento, degli anni di studio, dei risultati acquisiti. Degli errori fatti, delle persone di cui mi sono fidato e di quelli a cui mi sono affidato. Della gente che diceva di volermi bene e intanto mi maltrattava. E no, non sono sempre, solo, relazioni “sentimentali”. Anzi. Per quanto, in questo lavoro, tutto sia una storia d’amore. Breve, brevissima, lunga, ma sempre intensa. E tutte le volte è un lutto.

E tutte le volte sfoghi sull’unica cosa che ti rimane: te stesso. Il cibo. E ti fai male. E te ne penti. E poi vai in Tv, a fare quello bravo in prima serata, ti guardi, e non ti riconosci. E allora no. Non importa. E ti chiudi in casa. E il cane continua a girare, a mordersi la coda. Fermati, Lassie. Fermiamoci insieme. E rimettiamo la chiesa al centro del villaggio. E quella chiesa, sempre, sei tu. Sono io. E adesso ho proprio voglia di rendere grande il mio villaggio e trattarmi per quello che davvero sono: una cattedrale. Ci rivediamo tra dieci chili.

© Tucker Film, Lemon Tree, Fabula Film, Multi Media Distribution (1)

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