Quando avevo 28 anni, quando ho iniziato, ho incontrato subito i più grandi. Avevo appena fatto un film enorme, stavo vincendo tutti i premi possibili, poi mi ritrovai a fare un corto fantastico che ha continuato a farmi vincere premi. Mi erano capitati, il secondo grazie al primo. E non pensate: anche la candidatura al David arrivò perché il regista di Easy aveva visto il mio primo film. Ero circondato da gente che pronosticava per me un futuro grandissimo. Poi, dieci anni dopo, molte di quelle persone erano lì a chiedersi come mai non fossi diventato così famoso. “Perché sono cretino!”, pensavo di voler rispondere. Poi ho capito che la risposta era un’altra. “Perché non c’è un perché”. Non è sempre colpa di qualcuno. O meglio: la responsabilità ce l’ha sempre qualcuno; a volte io, a volte qualcun altro. Ma non c’è niente di meglio, ogni tanto, di poter dire che è colpa anche di qualcun altro. E non è un auto-delegittimarsi.
Ogni tanto becchi gli stronzi e a quel punto hai due strade: arrabbiarti in maniera feroce e furibonda contro tutto e tutti, portare rancore e far tracimare la bile, oppure chiudere quel capitolo, guardare avanti e sorridere dello stronzo che hai beccato. Credo che alla fine succeda a tutti, in qualunque campo. Io dieci anni fa mi arrabbiavo. Oggi sorrido. Mi dicevano che le carriere si costruiscono coi “no”. Io onestamente penso di aver detto quasi tutti giusti i no e i sì.
Certo, potevo evitarmi quel film orrendo a inizio carriera con quel regista ignobile che ha fatto due film in uno: il primo e l’ultimo. Ma se non l’avessi fatto, non l’avrei mai capito. E poco altro, davvero. Forse oggi potrei essere più ricco, ma non avrei quel percorso che mi piace così tanto alle spalle. Ho detto tanti no e di quelli non mi pento proprio. Certo, questo mi ha portato ad avere una fama da grandissimo stronzo che mi precede, anche di parecchio. Di attore “complesso da gestire”, uno “molto meticoloso”, uno che “studia”, uno che “rompe le palle”. È tutto vero, lo dico con orgoglio. Poi, però, non c’è un regista con cui abbia lavorato che poi non mi abbia richiamato. O con cui è rimasto un gran rapporto. Ho esplorato la commedia, ad esempio. Per questo ho voluto fare anche solo due giorni sul film di Zalone: voi non immaginate quante cose abbia imparato da quel genio.
Oggi ho deciso che faccio solo i protagonisti. Perché sì, perché mi va, perché voglio dedicarmi anima e corpo a ogni singolo film. Io non incastro mai, per esempio. Non sono uno di quelli che fa due progetti contemporaneamente. Ma come fate? Io già faccio fatica a fare il film e a vivere la mia vita insieme, e voi passate da un set all’altro in due giorni? Vi invidio da morire. No, io spengo il cellulare e lavoro solo per te, in quel periodo. Mi hai voluto, preteso, scelto, difeso e protetto: essere totalmente tuo è il minimo che io possa fare. E allora il regista del film dopo si incazza perché tu non gli rispondi. E poi, però, quando stai facendo il suo film è così felice di averti tutto per sé. Tutto e per tutto. Smetto di vivere, anche. Perché questo è il mestiere più bello del mondo, ma devi farlo bene, deve essere totale, devi metterci l’anima. Perché ci vuole sudore e un minimo di cuore, se non vuoi lo zero a zero. E io, sono un attaccante a cui piace tanto il gol.
Si mette punto e si ricomincia, di nuovo. E ci si guarda indietro, pensando che no, non ho nessun rimpianto. E a proposito: io vincerò il David. Non ho alcuna intenzione di dire al me bambino che non è riuscito a realizzare il suo sogno. Altrimenti non riuscirei a svegliarmi ogni giorno: non smetto mai di credere al mio sogno. E non permetto a nessuno di farlo spegnere. E ho capito finalmente come si chiama questo modo di fare: “vita”.
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