Matthew Perry e la solitudine dell’attore

Matthew Perry e la solitudine dell’attore

Tu non te lo ricordi già più. Per me è una cosa scoperta stamattina. È morto Matthew Perry. “Chi?”, pensi tu. Il Chandler di Friends. “Ah”, rispondi. È passato un pugno stretto di settimane da quel momento in cui hai scoperto che era morto. Ma c’è di sicuro “un morto del giorno” più di lui, adesso. È morto nella sua vasca da bagno. Da solo.

Ho finito di leggere la sua autobiografia poche settimane fa: posso dire che la cosa mi addolora, non riesco a dire che mi sorprenda. Faccio fatica a pensare a tutte e due le cose. Sai, caro lettore di Best Movie, che oggi ti stai preparando al Natale, ai grandi incassi dei Blockbuster americani e che spari sentenze sul cinema italiano: io vorrei poterti abbracciare. Stringerti la mano.

Spingerti a chiederti cosa ci sia, davvero, dietro a una scena che hai visto sullo schermo e alla reazione che hai avuto tu. Dietro alle scelte di regia, degli attori, dello stesso cast: perché ti sei emozionato così tanto. Perché ti senti “colpito”. Perché ci hai visto il dolore. Non è vero che non ho paura di avere paura. Sono terrorizzato. Ma senza quella paura, quella rabbia, quel dolore, cosa dovrei recitarti? Siamo abituati a stare spalle al muro, con la vita che gioca ai dadi con le tue emozioni, lasciando che si mescolino con quelle dei tuoi personaggi. Facciamo fatica ad avere relazioni vere, con quel viaggiare in quel mare in tempesta che passa dal “faccio schifo” al “sono un genio”. In mezzo non c’è spazio.

Non abbiamo idea di come si faccia a scollare l’attore dalla persona. E poi sei una star mondiale, guadagni tanto da poter dichiarare tu guerra agli altri stati. Sei un dio, assoluto. E muori solo, in una vasca da bagno senza nessuno accanto. Solo. Con magari accanto una bustina, o una bottiglia. Che invece, solo, non ti hanno mai voluto lasciare. Io lo so che ti sembra difficile, a te, non pensare che una dipendenza sia una specie di vezzo, un capriccio da ricca star. E forse senza quella dipendenza, figlia di quel dolore, non avresti avuto mai il personaggio più figo della sitcom più importante della storia della Tv mondiale.

Leggi quella biografi a. Leggile tutte, quelle degli attori che ti hanno emozionato, fatto ridere, piangere, colpito. Perché il colpo lo prendi sul serio, poi, dopo. Quei soffitti, quegli ascensori, quelle stanze d’albergo. Quella cosa che si chiama “sindrome dell’impostore”. Quella cosa per cui non sono importanti i tuoi numeri social, ma solo come e quanto ci metti per fare un ruolo. Per poi scoprire che però, i produttori, a te preferiscono uno che ha più follower e che si occupa meglio della sua skincare. Quel dolore per cui tu pensi che non se lo possano permettere, le star, perché hanno tutto e devono solo ringraziare.

Ringraziare te che pretendi una foto senza aver mai visto un film della persona a cui hai interrotto il pranzo, ma l’hai visto da qualche parte e allora “fai la foto”. Quando mischi fama e popolarità, quando ti convinci che “è grazie alla gente che stai lì e dovresti ringraziarla”. Che è verissimo. La ringrazio una per una. E almeno dimmi il titolo di tre film in cui mi hai visto. Non del tizio che ti ha detto: “Oh, quello lì è un attore!”. Ci vuole poco a finire nella vasca da bagno. A vedere chiaro il buio. Che è sempre più buio. E allora ti rigiri dall’altra parte e non ti convinci che Fuller avesse ragione, che è proprio quello il momento in cui il buio è più buio: prima dell’alba. “Io ho visto la luce”.

Memorabile come lo ha scandito chi dà il nome a questa rubrica. E poi è morto solo, nel buio. E lo so che questo è il numero di Natale. E lo so che dovrei solo sentire il profumo del vischio. Ma amo il cinema, amo recitare, amo essere fi no in fondo me stesso e amo essere bravo. E l’amore è cieco. E il buio gli si addice. Accendete una candela. Sta arrivando l’alba.

 

©Bright/Kauffman/Crane Productions, Warner Bros. Television (1)

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