Lo ammetto.
Nella consueta alternanza tra classici conclamati e pellicole da consacrare, ogni tanto mi diverto a infilare qualche titolo provocatorio. E Alba rossa è uno dei fi lm più provocatori di tutti i tempi, realizzato da quel pazzo visionario che risponde al nome di John Milius.
Sgomberiamo per un momento il campo da una serie di fraintendimenti: il film esce nel 1984, anno fatale per George Orwell. E nonostante siamo nel pieno del primo mandato di Ronald Reagan, Hollywood non ha ancora capito appieno dove tiri il vento, tanto che al cinema trionfano Beverly Hills Cop, Ghostbusters, Indiana Jones e il tempio maledetto, Karate Kid e Scuola di polizia. La grande ondata di titoli reazionari a stelle e strisce (quelli che Vincent Canby definisce “‘Wake Up, America!’ movie”) deve ancora arrivare: Rocky IV, Rambo II e Invasion U.S.A. sono del 1985, Top Gun e Cobra del 1986. Alba rossa esce prima di tutti questi titoli, anticipando lo spirito del tempo che sta per venire. È reazionario, è violento (il fi lm più violento di tutti i tempi all’epoca, stando al Guinness dei Primati), è retorico, è sgradevole. Non sorprende quindi che venga accolto malissimo dalla critica americana democratica e liberal, e che si becchi l’etichetta di “peggior film mai girato”.
Allora perché inserirlo in questa rubrica? Per due motivi: il primo è che proprio per la sua capacità di intuire e anticipare lo zeitgeist, Alba rossa rappresenta senza alcun dubbio un classico del suo tempo. Il secondo motivo è che la critica americana democratica e liberal si sbagliava di grosso: Alba rossa è sì un fi lm reazionario, violento, retorico e sgradevole, ma è anche un fi lm straordinario, scritto e diretto da un genio visionario capace di rendere epica la lista della spesa, figurarsi la storia di un gruppo di ragazzini costretti a diventare partigiani per combattere un nemico che ha invaso il loro Paese.
La genesi della pellicola, del resto, è interessante quasi quanto il film stesso: la prima stesura dello script è a opera di un giovane Kevin Reynolds (quello di Fandango, ma anche di Belva di guerra, di Robin Hood e di Waterworld), ma si tratta di un film pacifista che a Milius non interessa minimamente, nonostante la MGM gli offra un ingaggio stratosferico. Il regista (che, per chi non lo sapesse, è la persona su cui è modellato il personaggio di Walt ne Il grande Lebowski) detta le sue condizioni: vuole la libertà di riscrivere il copione da capo e vuole anche ricevere un fucile di sua scelta in regalo. Ottiene tutto quello che desidera e il Teen Soldiers di Reynolds, un piccolo fi lm su come la guerra trasformi tutti in mostri, diventa il Red Dawn di Milius, un fi lm enorme su come la guerra trasformi taluni in eroi.
Adesso non iniziate a pensar male: Milius non è un esaltato. O meglio: non è solamente un esaltato. Come sceneggiatore ha scritto gioielli come Corvo Rosso non avrai il mio scalpo!, Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! e Apocalypse Now (questo assieme a Oliver Stone), e come autore completo è l’uomo che sta dietro a Un mercoledì da leoni, a Conan il barbaro e a Il vento e il leone. Persino ne Lo squalo di Spielberg (di cui Milius è grande amico) c’è la sua mano (il monologo di Quint sulla USS Indianapolis è frutto della sua penna). John Milius è un gigante del cinema. Ma è anche un pazzoide eversivo, intimamente anarchico (all’americana), pieno di complessi (come quello di essere stato riformato alla visita di leva per la guerra del Vietnam) e gonfi o di un profondo desiderio di rivalsa. I selvaggi e ben poco politicamente corretti anni Ottanta sono un parco giochi dove tutto è permesso a uno come lui, e Alba rossa diventa la sua personale montagna russa. Dentro ci mette tutto il suo meglio (l’evocazione di una dimensione mitologica, l’esaltazione dell’individualità e dello spirito libero, lo splendore degli spazi naturali, l’epica furente, il dolente lirismo, la seducente violenza…) e tutto il suo peggio (le conoscenze filosofi che traballanti, la becera retorica, la visione manichea del mondo, il bieco nazionalismo). Il risultato è una pellicola bellissima e terribile, animata da una forza vitale insopprimibile ma anche schiava delle più oscure pulsioni ataviche. Un orribile capolavoro del tutto unico nel suo genere, che merita a pieno diritto di essere consegnato alla storia del cinema a eterna testimonianza del genio e della demenza di quel gigante di John Milius.
3 motivi per definirlo un classico:
– la forza vitale e il violento romanticismo della regia di John Milius
– la bellissima fotografia di Ric Waite
– la monumentale colonna sonora di Basil Poledouris – vedere Johnny Castle e Frances “Baby” Houseman sullo schermo prima di Dirty Dancing
© United Artists, Valkyrie Films(3)
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