40° Torino Film Festival, Anche io: la recensione del film sull’inchiesta del New York Times su Harvey Weinstein con Zoe Kazan e Carey Mulligan

Il film diretto da Maria Schrader uscirà al cinema il 12 gennaio 2023 con Universal

40° Torino Film Festival, Anche io: la recensione del film sull’inchiesta del New York Times su Harvey Weinstein con Zoe Kazan e Carey Mulligan

Il film diretto da Maria Schrader uscirà al cinema il 12 gennaio 2023 con Universal

Anche io recensione

Nella miglior tradizione del cinema americano civile, Anche io si mette in coda lungo il percorso già tracciato da caposaldi del filone giornalistico d’inchiesta come Tutti gli uomini del presidente, Quinto potere e, più recentemente, Il caso Spotlight, The Post e Cattive acque.

Diretto da Maria Schrader (serie Netflix Unhortodox) e interpretato con grande trasporto e senso di responsabilità da Zoe Kazan e Carey Mulligan, Anche io si confronta apertamente con il caso Weinstein e le prime denunce a carico dell’allora patron della Miramax, colpevole – come tutti impareremo a conoscere – di decine e decine di molestie sessuali ai danni di attrici di Hollywood e componenti del suo stesso staff. Il film della Schrader si rifà alle indagini, frutto di mesi di duro lavoro, delle due giornaliste del New York Times che per prime si trovarono a lavorare sul complesso caso, anche perché tale era il potere di Weinstein a suo tempo che nessuno aveva mai osato sporgere denuncia.

Visto l’argomento, tenuto conto del team artistico quasi interamente al femminile che ci ha lavorato e considerato il riverbero del neo movimento femminista in questi ultimi anni che ha dato origine a una vera e propria new wave all’insegna di un cinema di protesta, fortemente orientato a valorizzare il riscatto e l’emancipazione della donna contro il predominio del patriarcato, Anche io avrebbe potuto correre il rischio di scadere nella retorica e dare voce a un sentimento troppo orientato speculativamente sulla questione di genere.

Invece, e qui sta il grande pregio, non solo la Schrader evita i luoghi comuni, ma inventa un suo stile molto caratteristico per raccontare la violenza senza mostrarla e includere nel racconto la figura dello stesso Weinstein in absentia. Ecco, allora, la valorizzazione degli spazi, da un lato, dei luoghi che sono stati teatro del comportamento disdicevole del produttore americano e che, nel loro esserne impregnati, sono in grado di evocare l’accaduto, stimolando la forza immaginativa dello spettatore, solo attraverso l’uso astratto della voce (vera) di Weinstein registrata nelle intercettazioni telefoniche.

E’ vincente, inoltre, la scelta di non mostrare mai l’orco-Weinstein e, l’unica volta che lo si vede, è ripreso di spalle, il che lo rende ancora più inquietante. Una piacevole sorpresa.

Foto: Annapurna Pictures, Plan B Entertainment

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