Un Jazz Club in un quartiere decentrato di Parigi, ben oltre il decimo arrondissement e lontano dai celebri monumenti cittadini, è il cuore di The Eddy, prima esperienza di Damien Chazelle con la serialità. Ancora jazz dunque, come in Whiplash, La La Land e nell’esordio Guy and Madeleine on a Park Bench, per un giovane autore ma con due cult movie e un Oscar alla regia già in curriculum, che finora ha tradito la sua passione musicale solo per raccontare la storia dell’allunaggio in First Man. Attorno a quel club ruotano le storie di Elliot, un pianista newyorkese di enorme talento che ha abbandonato la tastiera dopo un grave lutto; della coppia che gestisce con lui il locale, in mezzo a un mare di debiti; di sua figlia, appena arrivata dall’America, spedita in Francia dalla madre e con un passato di tossicodipendenza; della band che sale tutte le sere sul palco e della sua cantante Maja, che con Elliot ha avuto una storia quando entrambi vivevano ancora a New York e lui stava attraversando il periodo peggiore. La serie arriva su Netflix l’8 maggio, dopo uno sviluppo durato sei anni e una storia produttiva molto particolare, che vale la pena di essere raccontata.
PRIMA DI TUTTO, LA MUSICA
Nell’autunno del 2013 Glen Ballard si presenta da Alan Poul con una manciata di canzoni jazz e una band già pronta per suonarle. Anzi: assemblata precisamente con quello scopo. È un incontro tra due grandi produttori-autori. Ballard, in particolare, è un mito vivente della musica pop: co-autore di alcuni dei pezzi più belli di Micheal Jackson – tra cui Man in The Mirror e Hand in My Pocket – è anche, tra le altre cose, il produttore di uno degli album più famosi e premiati degli anni ’90, Jagged Little Pill di Alanis Morrisette. In questo contesto, però, quel che ci interessa è che nel 2011 Ballard ha fondato a Hollywood una compagnia, la Augury, con cui sviluppa progetti per il cinema, il teatro e la Tv, basati su un’idea musicale. E qui entra in scena Alan Poul, a sua volta produttore esecutivo di show che hanno fatto la storia del piccolo schermo, come Six Feet Under e The Newsroom. Ballard mette la musica in mano a Poul, gli presenta la band e gli dice che vorrebbe costruirci attorno una serie ambientata a Parigi. Poul ci pensa un po’ su e lascia passare qualche mese, fino a che a inizio 2014 non vede un film che racconta la storia di un batterista jazz ed è appena stato premiato al Sundance. Lo ha diretto un regista giovane e sconosciuto, che porta un cognome dal suono vagamente francese.
WHIPLASH
Il film, naturalmente, è Whiplash. A quell’epoca Damien Chazelle è ancora una stella nascente, un ragazzo magro con una testa piena di ricci, che fisicamente ricorda un po’ Michel Gondry. Ha firmato un esordio minuscolo e pieno di passione che non ha visto nessuno, e un film miracoloso, una specie di Ufficiale e gentiluomo in chiave musicale, di cui ancora non si è capita l’importanza (lo si capirà un anno dopo, quando il film vincerà tre Oscar). La telefonata di un grande produttore televisivo è quindi una sorpresa e certamente una benedizione. Il primo approccio non è però dei più consueti. Poul porta infatti Chazelle in un locale per fargli sentire la band creata da Ballard, che ora si chiama proprio “Eddy Band”. A fine concerto gli racconta il progetto e Chazelle quasi non crede alle sue orecchie. Nei giorni seguenti i due cominciano a buttar giù la storia e i personaggi, fino a quando non viene coinvolto anche lo sceneggiatore Jack Thorne, per mettere in ordine le idee. The Eddy, la serie, sta nascendo.
UN SERIE A RITMO DI JAZZ
Una serie nata da un progetto musicale e con un regista che è anche un musicista jazz (Whiplash è ispirato ai suoi studi da batterista), non può che seguire un’analoga idea di messa in scena. Chazelle vuole creare l’equivalente visivo di un concerto jazz e quindi spiega a Poul che girerà The Eddy con uno stile realista e molta camera a mano, lasciando agli attori una certa libertà di improvvisare e riprendendo tutta la musica dal vivo. Anche il montaggio avrebbe provato a riprodurre certi ritmi. «Mi disse che in certi momenti sarebbe stato languido e in altri molto “staccato”, ritmato», ricorda Poul. Questo significa che gli attori devono saper suonare. Il protagonista, André Holland, visto di recente in High Flying Bird di Steven Soderbergh, è un amico di Chazelle: viene scelto e si mette a studiare il pianoforte. All’attore franco-algerino e trilingue Tahar Rahim (il protagonista di Il profeta), perfetta icona di multiculturalità, che nella serie interpreta il socio di Elliot, tocca invece la tromba. Entrambi, durante le riprese, suonano i loro strumenti. L’unica che ha già studiato e conosce la musica è l’attrice polacca Joanna Kulig, nota soprattutto per essere stata l’indimenticabile Zula di Cold War, dove già interpretava il ruolo di una cantante, lo stesso che ricopre in The Eddy. La serie alla fine viene girata con un po’ di ritardo rispetto ai piani iniziali, a causa del fulmineo successo di Chazelle, ma il risultato tiene fede alla premesse: uno show in cui non c’è musica di commento esterna e tutto è registrato quando accade, compresi assoli, improvvisazioni e «scazzi della band», come chiosa ancora Poul.
PARIGI
Assieme al jazz, l’altro centro creativo ed emozionale è Parigi. Chazelle ha un padre per metà francese e passa parte della sua gioventù a Parigi, quindi della città conosce molto più dell’aspetto turistico. La Parigi di The Eddy è multiculturale, multireligiosa, post Charlie Hebdo. «No gloss». Abitata da lavoratori, artisti di strada, musicisti, piccoli spacciatori, e presidiata dalla criminalità organizzata. «Il locale è una specie di oasi musicale per gente di tutti i tipi, che non se la passa bene al di fuori del club e quindi va lì per trovare un linguaggio universale da condividere, indipendente dalle proprie origini». Ma per Chazelle l’accoppiata tra Parigi e il jazz significa anche un pezzo importante della storia del cinema. «Non mi era mai capitato di piazzare la macchina da presa in luoghi dove è nata la Nouvelle Vague francese e dove il jazz è stato usato in alcuni dei suoi momenti più iconici. Penso a film come Ascensore per il patibolo di Louis Malle, con la musica di Miles Davis, o alla colonna sonora di Martial Solal per Fino all’ultimo respiro. In quell’epoca, in Francia, c’era questa idea di fondere assieme jazz e cinema che mi ha sempre ispirato. È stato fantastico provare a fare qualcosa in quella tradizione ma modernizzandolo nello stesso modo in cui è cambiata la città».
IL TRAILER
Qui sotto il trailer originale sottotitolato in italiano di The Eddy:
THE EDDY
In conclusione, com’è The Eddy? Si tratta di uno show molto originale nella forma e più tradizionale negli sviluppi narrativi. Ci sono una parte thriller, con il protagonista Elliot che tenta di far fronte ai debiti contratti dal suo socio e le relative minacce di morte che piovono sui suoi cari; una parte drammatica, che indaga il rapporto complicato di Elliot con la figlia, restia a qualsiasi forma di disciplina e in cerca di attenzione; e una parte romantica, incentrata sulle relazioni amorose tra i vari personaggi, quasi tutte finite male o comunque in bilico. Ovunque, il jazz: balsamo vitale e momento di raccolta, che permette a tutti di dimenticare i propri problemi e ritrovarsi. Questi momenti musicali – ce ne sono almeno un paio a puntata – sono non a caso i più ispirati ed emozionanti, e attraversano ogni genere di contesto: da quello ricorrente del club, a matrimoni, funerali e feste improvvisate. Chazelle, che ha curato l’impronta artistica della serie sotto la supervisione di Poul come un vero e proprio showrunner, dirige in prima persona gli episodi 1 e 2. Il pilot, in particolare, dura 75 minuti e funziona bene anche come film a se stante, lasciando lo spettatore pieno di immagini e suoni, mettendo in scena quella confusione creativa – sociale e artistica – che cresce come un fiore nella periferia senza pace di Parigi.
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