The Crown: la recensione della quarta stagione

Prendendo il via dall’elezione di Margaret Thatcher e dal primo incontro tra il Principe Carlo e Diana Spencer, lo showrunner Peter Morgan indaga tra i meccanismi del potere pubblici e privati, e trova più che nelle stagioni precedenti un equilibrio appassionante e narrativamente efficace

The Crown: la recensione della quarta stagione

Prendendo il via dall’elezione di Margaret Thatcher e dal primo incontro tra il Principe Carlo e Diana Spencer, lo showrunner Peter Morgan indaga tra i meccanismi del potere pubblici e privati, e trova più che nelle stagioni precedenti un equilibrio appassionante e narrativamente efficace

The Crown 4

Gli attentanti dell’IRA, la recessione, la disoccupazione, la crisi delle Falkland, le incursioni a palazzo e l’apartheid in Sud Africa. Negli undici anni di storia inglese che la quarta stagione di The Crown riassume in dieci puntate, sono molte le crisi che la corona si trova ad affrontare. Ma nulla in confronto ai drammi che si sono consumati tra le stanze del Palazzo; scontri e dolori destinati a cambiare per sempre la monarchia britannica e a plasmare copertina dopo copertina non solo la narrazione della famiglia simbolo di una nazione ma in qualche modo anche il mondo intero, e noi che stavamo (stiamo) a guardare. 

Prendendo il via dall’elezione di Margaret Thatcher e dal primo incontro tra il Principe Carlo e Diana Spencer, lo showrunner Peter Morgan indaga tra i meccanismi del potere pubblici e privati, e trova più che nelle stagioni precedenti un equilibrio appassionante e narrativamente efficace. Storicamente accurato ma anche aperto al pettegolezzo, The Crown 4 non è uno show che vive di sfumature, ma di grandi ed esplicite metafore (Diana e il cervo, per dirne una) e dettagli “golosi” (gli abiti, le scarpe, i Corgi, gli arredi, le auto, le feste), formalmente impeccabile ma anche perfettamente accessibile. Quella accessibilità “a palazzo” che in fondo è la vera ragione delle passioni e della curiosità che la serie è capace di suscitare, come fosse un rotocalco di lusso.

La quarta è anche la stagione che più si lascia andare allo slancio emotivo nella scrittura. La serie non è di certo nuovo al sentimentalismo, ma stavolta lasciando gli avvenimenti storici sullo sfondo e concentrandosi soprattuto sulla sfera personale e privata dei personaggi – prime fra tutte Diana Spencer e Margaret Thatcher – si può concedere più parentesi di puro pathos. Non sapremo mai com’era Lady D. tra i saloni di Buckingham Palace, e non ci interessa nemmeno. Quello che vediamo è solo una – credibile – versione dei terribili avvenimenti che l’hanno portata a morire in un tunnel a Parigi una notte di settembre.

Scegliere per il ruolo un’esordiente è stata una scelta vincente: la naturalezza e l’innocenza del personaggio paiono quasi “gemmare” da Emma Corrin, fresca di scuola di recitazione, che riesce a essere una Diana perfetta senza imitarla. Aiutata da costume design clamoroso, manifestazione esteriore del suo mondo interiore, l’evoluzione del personaggio da ingenua outsider a nemica della Corona è quasi dolorosa da guardare. La tenera adolescente convinta di vivere una favola finirà accartocciata su se stessa, piegata davanti a un gabinetto a cercar di tirar fuori quel poco d’anima che le è rimasta. Finita quella, finito il dolore.

E poi Margaret Thatcher. Gillian Anderson, con l’aiuto generoso di trucco e parrucco, si muove al limite della caricatura ma sempre un passo in qua, giocando con la voce, la postura e i gesti. Gli incontri ufficiali con la Regina, esempio perfetto del controllo esercitato sui personaggi e i loro drammi nella writers room, impostano il tono dell’intera stagione: una guerra sotterranea, la preparazione di un’inevitabile deflagrazione, messa in scena con i canoni del thriller.

Infine Elisabetta. Fin qui avevamo spiato il suo lato più umano e privato, ma ora la maschera pubblica e regale finisce col coincidere in tutto e per tutto con la regina che la indossa. Gelida, calcolatrice, incapace o impossibilitata a esprimere i suoi sentimenti, Lilibet deve fare i conti con gli errori del passato e con la modernità che la attende, entrambi veicolati da Diana e dalla Thatcher. E dallo stesso Carlo.

Messo in ombra da ogni donna che si è trovato accanto, il Principe ereditario (interpretato da un eccezionale Josh O’Connor) si mostra geloso e infantile. Sa bene che tra lui e il regno, sua madre sceglierà sempre il regno, ed è questa consapevolezza che lo porta per la prima volta a combattere per la sua felicità, poco importa se lungo la via dell’emancipazione dovrà sacrificare moglie e figli.

Avvicinandosi alla contemporaneità lo show deve fare i conti con i ricordi collettivi. Gli eventi si fanno sempre più freschi, aumenta la responsabilità, ma anche il gusto nel rispolverare avvenimenti di cui ci riscopriamo partecipi, protagonisti, complici. E forse un po’, anche noi, colpevoli.

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