Tales From the Loop: la recensione della serie Amazon

La serie Amazon, ispirata alle illustrazioni di Simon Stålenhag, è un commovente dramma retrofuturista, ambientato negli anni '80 ma in una realtà parallela, in cui la tecnologia permette viaggi nel tempo e scambi di identità

Tales From the Loop: la recensione della serie Amazon

La serie Amazon, ispirata alle illustrazioni di Simon Stålenhag, è un commovente dramma retrofuturista, ambientato negli anni '80 ma in una realtà parallela, in cui la tecnologia permette viaggi nel tempo e scambi di identità

Una delle illustrazioni di Simon Stålenhag che hanno ispirato la serie Tales From the Loop

Nell’ultimo romanzo di Ian McEwan, Macchine come me, una coppia si trova protagonista di un triangolo sentimentale assieme a un’affascinante androide, inizialmente acquistato alla stregua di un elettrodomestico. Non siamo nel futuro ma in un passato alternativo, e precisamente nell’Inghilterra del 1982: i Beatles suonano ancora assieme e l’Inghilterra ha perso la guerra delle Falkland. Ma soprattutto la scienza ha fatto già da tempo passi da gigante nel campo dell’Intelligenza Artificiale.

Questo genere di racconto, che sta da qualche parte tra Jules e Jim e Blade Runner, si definisce retrofuturista, cioè mette in scena in un passato alternativo le conseguenza di uno sviluppo storico o scientifico mai avvenuto, in una realtà per il resto del tutto simile alla nostra. Mondi di questo tipo si chiamano “ucronie” e rappresentano un terreno molto fertile per la letteratura fantastica, basti pensare al romanzo Una svastica sul sole di Philip K. Dick e alla serie Amazon The Man in the High Castle che ne è stata tratta.

Tales From the Loop, come la maggior parte della fantascienza di questo tipo, è un racconto umanista, cioè indaga la condizione umana a patire da una quotidianità in cui alcune coordinate sono state alterate. È quasi inevitabile che questo accada, perché l’elemento fantascientifico, nel retrofuturismo, è la premessa del racconto, non il suo oggetto: la rivelazione è sempre umana.

La curiosità, qui, è semmai un’altra: le storie proposte dalla serie Amazon sono estrapolate arbitrariamente dallo showrunner Nathaniel Halpern da una serie di illustrazioni firmate dal disegnatore Simon Stålenhag. E il mondo immaginato da Stålenhag oltre che retrofuturista è decadente, cioè la tecnologia ha già avuto il tempo di diventare obsoleta (o comunque bisognosa di revisione), lasciando come tracce di sé ammassi di metallo e cavi elettrici, ruderi che spuntano dal panorama di una sonnolenta cittadina della  provincia americana – tutta foreste e campi coltivati – come i moai dell’Isola di Pasqua.

È il riattivarsi “casuale” di questa tecnologia a introdurre nelle storie dei protagonisti un elemento magico, che sconvolge la struttura temporale della loro esistenza, o li conduce in ulteriori realtà parallele, o semplicemente amplifica la loro percezione del mondo. Questa scoperta però “torna sempre indietro”, è in ultimo sempre umana, amorosa, filiale. I protagonisti devono tutti affrontare la solitudine e il lutto, e sono tutti, a turno, soggetto e oggetto di una agnizione, cioè di un riconoscimento, spesso scambiandosi identità e rapporti di parentela. È la loro stessa esistenza e quella dei loro cari che riconoscono (o apprendono), non quella delle macchine.

Così facendo Halpern e Stålenhag hanno spremuto il succo di ogni invenzione retrofuturista, che poi è la ragione dell’inquietudine che il genere porta con sé. Lo dice benissimo il secondo androide, nell’ultimo episodio, rispondendo al bambino che gli chiede perché non sia mai invecchiata: “la natura è cambiamento, e io non ne faccio parte”. Qualsiasi tecnologia l’uomo sviluppi, comprese tutte quelle che non svilupperà mai, si ritroverà sempre separato dalla tecnologia che ha creato almeno da questo: dalla sua mortalità. La tecnologia resta, magari come rudere, magari come intelligenza artificiale su un isola deserta, magari come mistero da esplorare attraverso la matematica. Noi no.

Caratterizzata da ritmi contemplativi, lunghi silenzi e improvvise esplosioni emotive, Tales From the Loop affronta attraverso un linguaggio tutto sommato popolare (nonostante i ritmi lenti) e una messa in scena suggestiva questioni filosofiche senza tempo, e si afferma come uno degli esiti più originali e azzeccati di questa prima parte di 2020.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
shortcode