Sharp Objects era una delle serie televisive più attese dell’anno, uno dei prodotti di punta di HBO in un anno in cui sono mancati The Leftovers (la serie della rete criticamente più acclamata nell’ultimo lustro), Big Little Lies e Game of Thrones (entrambe torneranno nel 2019). Queste ultime due serie sono state per l’emittente delle vere e proprie macchine da premi negli ultimi due anni, riportando in auge l’immagine della rete che aveva subito un brutto colpo dopo la messa in stand by di True Detective e la cancellazione di Vinyl.
A ben vedere Sharp Objects possiede tutte le caratteristiche del prestige drama targato HBO ed è sulla carta pensato per suscitare titoli altisonanti sulle riviste specializzate prima ancora di rivelare anche una sola sequenza. Si tratta infatti di uno show che prende le mosse dal famoso e omonimo romanzo scritto da Gillian Flynn (già sceneggiatrice di Gone Girl), ha come regista di tutti e otto gli episodi Jean-Marc Vallée (che arriva con il vento il poppa dopo l’ottimo lavoro svolto in Big Little Lies), ha una showrunner di grande talento come Marti Noxon (già tra le autrici di Buffy e tra i responsabili di UnREAL e Dietland) e in ultimo (ma non certo per importanza) vanta un cast dominato da due eccezionali dive cinematografiche com Amy Adams e Patricia Clarkson.
Le ottime premesse di partenza sono in gran parte confermate da Sharp Objects, in particolare grazie alla presentazione di un personaggio principale estremamente tormentato, di grande cupezza ma al contempo anche capace di indurre una spiccata empatia nello spettatore. Camille infatti non è altro che una versione femminile di tanti antieroi che abbiamo visto sullo schermo per tanti anni, soprattutto su HBO. Da Tony Soprano a Rust Cohle, la quality TV ha prodotto protagonisti dalla condotta non esattamente impeccabile, profondamente traumatizzati e capaci di destreggiarsi in un mondo in cui il Male si nasconde dietro ogni dettaglio forti di un profondissimo tormento interiore che consente loro di affrontare la brutalità della realtà ad occhi aperti.
Il personaggio interpretato da Amy Adams è una detective travestita da reporter, una figura accentratrice dal punto di vista narrativo e attraverso i cui occhi viene osservato quasi tutto il resto del mondo circostante, guidando sia il racconto sia l’attenzione di chi lo guarda.
Camille è una giornalista che viene mandata a Wind Gap per documentare un caso di omicidio plurimo che coinvolge un gruppo di giovani ragazze. Il piccolo-grande particolare però è che Wind Gap è anche la città in cui è cresciuta, quella in cui vivono ancora la madre, con il suo nuovo compagno e la loro figlia, nonché sorellastra di Camille. Tornare nella sua città natale per la protagonista significa scoperchiare un vaso di Pandora che nasconde al suo interno tutto l’orrore della provincia americana, uno zibaldone di ricatti, tradimenti, giochi di potere, abusi e violenze fisiche e mentali che si tramandano di generazione in generazione a colpi di atteggiamenti passivo-aggressivi e distruzione della reputazione altrui.
Nell’arco di otto episodi da poco meno di un’ora Sharp Objects tenta di coniugare due obiettivi molto ambiziosi: da un lato il tentativo di approfondire il discorso sulle fratture dell’animo umano e sui traumi di un’educazione repressiva e costrittiva, passando spesso dal particolare al generale muovendosi da Camille e Amma (la sua sorellastra) all’intera comunità di Wind Gap; dall’altro gestire la detection senza rivelare nulla o quasi di ciò che poi caratterizzerà lo scioglimento del racconto.
Sotto questo punto di vista la narrazione risulta un po’ scricchiolante perché i due obiettivi invece che esaltarsi a vicenda rischiano di sabotarsi reciprocamente. L’intero approfondimento sul contesto sociale di Wind Gap e sui rapporti tra Camille, la madre e la sorellastra deve infatti fare i conti con la necessità di un racconto rigidamente orientato, caratterizzato quindi da una direzionalità molto forte che non può che terminare con il climax finale fatto di rivelazioni sorprendenti. Per rendere però il finale così incisivo c’è bisogno di posticipare rivelazioni che in un altro genere di racconto emergerebbero molto prima, rendendo una parte degli episodi dello show, in particolare i due centrali, non solo irrilevanti rispetto alla storyline principale, ma anche didascalici circa la caratterizzazione della protagonista.
In conclusione, Sharp Objects non è certamente una serie perfetta né particolarmente innovativa in quanto pecca di una serie di ingenuità narrative e si colloca all’interno di un solco già abbondantemente scavato. Tuttavia è anche uno show girato con grande precisione (seppur forse con qualche virtuosismo non sempre giustificato narrativamente), interpretato in maniera straordinariamente intensa e che ha il merito di mettere al centro alcuni nodi particolarmente dolorosi dei rapporti tra donne.
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